Belcastro: dove le favole camminano per strada

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BELCASTRO: DOVE LE FAVOLE CAMMINANO PER STRADA

Oggi vi vogliamo raccontare una favola moderna tutta calabrese che porta con sé un messaggio forte pieno di speranza. C’era una volta un borgo che stava morendo. Non aveva perso il suo nome, né la sua bellezza. Aveva ancora le sue pietre antiche, il suo castello severo, i tetti rossi delle sue case silenziose e le sue chiese sprigionavano ancora spiritualità.  Ma i passi si erano fatti rari, le voci flebili, le finestre chiuse. I bambini non correvano più nei vicoli, e il tempo sembrava essersi fermato… in silenzio. Quel borgo si chiamava Belcastro, e dormiva. Un sonno lungo, quasi incantato, fatto di ricordi e rimpianti, come una fiaba dimenticata in fondo a una libreria. Finché un giorno, come accade nei racconti belli, qualcuno ebbe un’idea. Non una magia, non una bacchetta, non un re o una regina. Ma un’idea semplice e forte, come quelle che nascono dal cuore: ridipingere i muri con i colori dell’infanzia, far tornare a parlare le fiabe, restituire al borgo la sua voce perduta. E così, da quel giorno, Belcastro non morì. Belcastro si risvegliò e divenne il “Borgo delle Favole”. Perché qui i muri raccontano storie. Non metaforicamente: li raccontano davvero. Le pareti narrano e lo fanno con i colori squillanti delle fiabe più amate, quelle che conosciamo a memoria eppure ci sorprendono ogni volta che le riscopriamo. È come entrare in un libro che respira, passeggiare tra le pagine vive di un racconto illustrato. Qui, l’immaginazione non ha mai traslocato altrove. Ha solo cambiato pelle. Ha trovato casa nei pennelli di un artista locale e nel cuore visionario di un sindaco con uno scopo chiaro: restituire la speranza al paese attraverso la bellezza. Ed è così che un progetto nato quasi per gioco, diventa in breve tempo una rinascita concreta. Un’idea che, come tutte le vere magie, è cresciuta tra le mani di chi ha avuto il coraggio di crederci. Le favole, si sa, nascono spesso da un desiderio. E quello che ha preso forma tra i vicoli di Belcastro era il desiderio di non arrendersi al silenzio, allo spopolamento, alla malinconia dei paesi che si svuotano, delle serrande abbassate, delle porte chiuse su ricordi sempre più lontani. Prima di diventare il “Borgo delle Favole”, Belcastro era ed è un autentico gioiello medievale della Calabria. Arroccato sulle pendici sudorientali della Sila Piccola, a circa 500 metri d’altitudine, domina la valle del torrente Nasari e guarda il Golfo di Squillace con uno sguardo ampio, quasi regale. Il borgo ha radici antichissime, infatti, nei suoi territori sono presenti evidenze archeologiche risalenti al neolitico. Ma il suo simbolo oggi è il castello normanno, che veglia dall’alto con aria sorniona, un’imponente fortezza che nei secoli ha protetto il paese e ospitato storie di nobiltà, battaglie e spiritualità. Non a caso, proprio qui nacque San Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi filosofi e teologi della storia. Il centro storico conserva chiese stupende, palazzi nobiliari in tufo e pietra viva, antichi portali che sembrano soglie verso altri secoli. Tra le strutture più significative: il Duomo (un tempo chiesa di San Michele Arcangelo), le chiese della Pietà, di San Rocco e dell’Annunziata, i ruderi del Convento di San Francesco e Palazzo Poerio. Per approfondire storia, chiese, architettura e personaggi illustri di Belcastro, verrà pubblicato un post dedicato, ma qui ci basti sapere che il borgo, anche spogliato dalle favole, è già di per sé una meraviglia. Belcastro, come molti dell’entroterra calabrese, è un paese carico di storia e di fascino, ma con le lancette del tempo che sembravano andare all’indietro. Finché, nel 2021, il sindaco Antonio Torchia, con l’intuito di chi sa leggere il potenziale nascosto nei sogni, accolse la proposta dell’artista Matteo Lupia: riempire di vita, attraverso la pittura, quei muri spenti, quelle case affacciate sul vuoto, quei vicoletti dimenticati anche dai gatti. Nasce così il progetto “Il borgo delle favole”. All’inizio fu una sperimentazione. Un piccolo murale, qualche pennellata timida, una favola accennata. Poi il colore prese coraggio, la storia divenne più audace, e il rione Castellacci, un tempo quasi abbandonato, si trasformò in un vero e meraviglioso capitolo di un racconto nuovo. Tutto intorno, finestre restaurate, porte antiche ridipinte, balconi in fiore. La cura non è solo estetica: è affetto. È amore per un luogo che si sta riscoprendo bello, degno, vivo. Il resto è venuto da sé, come nelle fiabe migliori: l’entusiasmo degli abitanti, il passaparola, i primi turisti che arrivavano con gli occhi spalancati, le scolaresche, i fotografi, le famiglie in cerca di un giorno speciale. Nessuno passa senza un sorriso. È come se, per un attimo, la gravità stessa diventasse più leggera, e il mondo più gentile. Una fiaba nata per gioco è diventata una bandiera. Una semplice idea ha cambiato il destino di un paese. E voi siete mai entrati in una fiaba? Non leggendo, ma proprio entrando: passando tra pareti dipinte, camminando sopra un sentiero a scacchiera, seguendo strane frecce all’incontrario che indicano “di sopra”, “di sotto”, “a destra”, “ a sinistra”… fino a ritrovarvi nel mezzo del Paese delle Meraviglie? A Belcastro tutto questo è possibile, e non si tratta di un’illusione scenografica: è una trasformazione reale, urbanistica, artistica ed emotiva. Ogni vicolo, ogni gradino, ogni porta racconta. Non si passeggia: si sfoglia. Si trovano nuove scene dietro l’angolo, si sorride riconoscendo una figura che credevamo perduta nell’infanzia, e invece eccola lì, gigantesca, “pittata” su un muro come un’epifania. Si sogna ad occhi aperti, si entra dentro i murales come se fossero portali. Ogni pittura non è solo un disegno, ma una scena teatrale, un ricordo in 3D, un’eco di quando si era piccoli. Eppure, nulla di tutto questo è forzato. Nulla è eccessivo. I murales di Matteo Lupia hanno l’eleganza dell’infanzia vista con gli occhi dell’adulto: colori pieni, linee morbide, proporzioni fantastiche che riescono a coniugare il divertimento del bambino con la nostalgia sottile di chi ha smesso da tempo di credere nelle magie. O almeno credeva di averlo fatto. Non è un caso che oltre ad una lunga scalinata arcobaleno che si snoda tra le case di Belcastro come un ponte tra il reale e l’immaginario, invitando ogni passo a salire dentro il sogno e a ritrovare, colore dopo colore, la meraviglia perduta, le due grandi fiabe rappresentate in questo museo a cielo aperto siano proprio “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “Pinocchio”. Due classici che parlano di metamorfosi, di identità, di errori e desideri, di viaggi attraverso l’assurdo per ritrovare sé stessi. La prima protagonista, manco a dirlo, è Alice. E non una sola Alice, ma tante: curiose, spaesate, coraggiose. La si vede inseguire il Bianconiglio tra case basse e tetti rossi, mentre sul selciato la pavimentazione prende la forma di una scacchiera, come se davvero si potesse camminare dentro la logica strampalata di un sogno. In alcuni punti, pare che il tempo stesso si sia piegato come una pagina di libro, facendo posto a personaggi stravaganti e ad ambientazioni magiche. Sulle pareti, scene dinamiche si susseguono: Alice che cade nella tana, il Cappellaio Matto che offre una tazza di tè con lo sguardo un po’ folle circondato dai suoi amici bizzarri, lo scontroso Brucaliffo, l’enigmatico Stregatto, le carte da gioco animate e la Regina di Cuori pronta a gridare “Tagliatele la testa!”. I cartelli stravaganti, dipinti con scritte sbilenche e direzioni impossibili accompagnano ogni angolo, trasformando ogni bivio in un piccolo rebus, ogni svolta in un sorriso. A Belcastro, se segui il Bianconiglio, non ti perdi. Ti ritrovi. Ma il vero colpo al cuore arriva poco più avanti in un altro vicolo a salire. Qui il racconto cambia registro, si fa più tenero, più malinconico, più profondo. Inizia la fiaba di Pinocchio. Le pareti si animano con la bottega del mite Geppetto intento a intagliare la marionetta di legno che cambierà la sua vita, con la dolce Fata Turchina, il terribile Mangiafuoco, con il Gatto e la Volpe pronti a vendere illusioni. E poi Pinocchio e Lucignolo che corrono verso il Paese dei Balocchi, ignari delle conseguenze. Tutto sembra così reale e la tensione sale sempre più. Fino ad arrivare alla parete più commovente dove nelle varie scene che si susseguono la balena gigantesca, azzurra, dalle fauci spalancate inghiotte Pinocchio, che impaurito ma determinato, cerca di fuggire insieme a Geppetto. L’acqua sembra muoversi, l’aria vibra. La paura si fa tangibile… ma anche la forza. È un’immagine potente, quasi teatrale. In quella scena si condensano paura e audacia, errore e redenzione. È l’infanzia che prende coscienza, è l’uomo che nasce dal legno. Pinocchio è diventato un essere umano. E con la sua bacchetta la Fata Turchina, silenziosa, eterea, sembra benedire non solo Pinocchio, ma anche ogni visitatore che cammina tra quelle immagini, riconoscendo le proprie bugie, i propri errori, i propri difetti. A Belcastro seguendo le vicende di Pinocchio impari che trovare se stessi è il frutto di un viaggio: bisogna smarrirsi, cadere, scegliere con coraggio… e saper amare. Le favole, nei secoli, hanno attraversato i confini della cultura popolare per approdare nell’inconscio collettivo. Non sono solo storie da bambini, ma archetipi: mappe interiori che ci aiutano a comprendere il mondo, e a comprenderci. A Belcastro, questa funzione antica della fiaba si rigenera nella forma nuova del murales. Così, Alice non è solo una bambina curiosa che segue un coniglio: è la nostra sete di conoscenza, la nostra voglia di perderci per capirci, ritrovarci. La sua discesa nella tana del Bianconiglio, tra nonsense, sogni e paradossi, non è altro che il viaggio dell’anima nell’inconscio, un percorso iniziatico, esoterico, il cammino della coscienza in crescita. I personaggi strambi in ambientazioni stravaganti, i cartelli disorientanti, le situazioni assurde, i ragionamenti astrusi diventano simboli di un mondo interiore caotico ma rivelatore, in cui le regole vengono sospese per lasciare spazio alla verità che si nasconde dietro alle nostre maschere e alla quotidianità. Anche Pinocchio, nella sua corsa tra tentazioni e redenzione, rappresenta un percorso alchemico. Dal legno grezzo all’“essere umano”, un cammino tra materia e spirito ma anche la storia eterna della disobbedienza e del riscatto. I suoi inganni e quelli ai quali va incontro, il Gatto e la Volpe, il Paese dei Balocchi, sono prove, stazioni, ostacoli da superare per arrivare alla consapevolezza. La balena è la paura atavica dell’ombra che inghiotte ma da cui con la tenacia si può riemergere. E Geppetto è la figura archetipica del Padre, che crea, attende, perdona. I murales che lo rappresentano non si limitano a illustrare la fiaba: la fanno rivivere. Guardando questi murales si ha l’impressione di attraversare simboli vivi. Alice siamo noi quando affrontiamo l’assurdo della vita moderna. Pinocchio siamo noi ogni volta che scegliamo la strada più facile. Ed è per questo che ogni visitatore, bambino, adulto o anziano, si ritrova dentro queste storie come in uno specchio colorato. Camminare tra questi murales significa allora, in fondo, camminare dentro se stessi. E il borgo si fa specchio, teatro, speculazione filosofica travestita da sogno. Ma se esiste un vero incantesimo in questa storia, non è nei colori ma è nel coraggio. Nel coraggio di restare in una Calabria che spesso piange la sua gioventù in partenza. E Belcastro ha scelto un’altra strada, una “restanza” che non è resistenza passiva, ma azione creativa. Prende forma nei pennelli, nei restauri, nelle idee. Prende voce nei bambini che ridono, nei turisti che applaudono, nei paesani che si riscoprono fieri della propria terra. Belcastro è diventato una meta. Ma prima ancora, è diventato un messaggio. Un paese con meno di 1300 anime ha risposto al declino con una fiaba. Ha preso ciò che aveva, le sue pietre, la sua storia, i suoi sogni e li ha offerti al mondo. Non con clamore, ma con poesia. È la prova tangibile che la bellezza e la cultura possono salvare un paese morente e crea turismo, che l’arte può restituire senso, che la fantasia, se ben guidata, è più concreta di tante statistiche. Un’idea, quando è nutrita con amore e passione, senza dietrologie e personalismi, può cambiare il destino di un intero borgo. Può trasformare l’abbandono in attrazione, la malinconia in sorpresa, il silenzio in canto. A Belcastro il bambino che eri ti tende la mano. Sta a te stringerla… e seguirlo.

Alfonso Morelli team Mistery Hunters

Foto: Alfonso Morelli (© All rights reserved)