LA CALABRIA TERRA DI PAPI: CULLA ANTICA DELLA FEDE CRISTIANA
La Calabria, con i suoi paesaggi aspri e la sua storia millenaria, è da sempre una terra di fede e spiritualità. Non è un caso che proprio su queste coste, secondo una venerabile tradizione storica, sbarcò l’apostolo Paolo di Tarso intorno al 61 d.C., fondando a Reggio Calabria la prima comunità cristiana d’Italia e di tutta l’Europa occidentale. Un fatto straordinario, spesso dimenticato, che rivela quanto questa regione sia stata sin dalle origini crocevia della fede, ponte naturale tra Oriente e Occidente. Lo ricordò con emozione anche San Giovanni Paolo II, durante la sua visita pastorale del 7 ottobre 1984:
«Nel toccare il suolo di questa città, provo una viva emozione al considerare che qui approdò, quasi duemila anni fa, Paolo di Tarso. E che qui accese la fiaccola della fede cristiana, da qui il Cristianesimo ha iniziato il suo cammino in terra calabra, espandendosi in ogni direzione, sia verso la costa ionica sia verso la fascia tirrenica.»
Non sorprende allora scoprire che la Calabria, silenziosa ma feconda nei secoli, ha donato alla Chiesa ben dieci pontefici, di cui otto santi canonizzati e persino un antipapa. Un patrimonio spirituale che emerge dalle antiche cronache custodite nel Liber Pontificalis, la celebre raccolta di biografie papali che traccia la storia della Sede di Pietro da San Pietro stesso fino al Rinascimento. Questi papi calabresi, vissuti in epoche diverse e spesso in tempi difficili, hanno segnato la storia della Chiesa con il loro coraggio, la loro cultura e la loro profonda spiritualità. La loro ascesa non fu sempre lineare né priva di ostacoli. Intrighi, guerre, eresie, riforme, ognuno di loro dovette affrontare un tempo inquieto e prendere decisioni che avrebbero inciso profondamente nella memoria collettiva. La Calabria si rivela non solo terra di martiri e monaci, ma fucina viva di pastori, capaci di orientare il cammino della fede nel mondo. La storia li ricorda, la fede e il coraggio li hanno resi universali. Alla vigila del conclave dopo la morte di Papa Francesco, vogliamo raccontarvi le storie di questi uomini che dal profondo sud dell’Italia hanno raggiunto il vertice spirituale del mondo, figure spesso avvolte dal mistero, che il tempo ha lasciato scivolare tra le pieghe della storia, ma il cui destino si è legato indissolubilmente a quello della Chiesa. È ora di riscoprirli con occhi curiosi, con mente aperta e con il rispetto che si deve a uomini che seppero ascoltare il richiamo della loro epoca partendo dalla Calabria (per una corretta informazione, di alcuni papi non essendoci fonti certe ci sono dei dubbi se siano calabresi o siciliani).
San Telesforo: il papa calabrese che rinnovò il Natale
San Telesforo, nato a Thurio (oggi Terranova da Sibari) in Calabria, fu l’ 8º pontefice della Chiesa di Roma, governando la comunità cristiana tra il 125 e il 136 d.C. Uomo di profonde radici spirituali, prima di arrivare a Roma visse come anacoreta in Egitto e Palestina, forse anche tra gli eremiti del Monte Carmelo. Non a caso, l’Ordine dei Carmelitani lo annovera tra i propri santi. In un’epoca complessa, segnata dall’espansione di dottrine eretiche come la gnosi, Telesforo difese con fermezza l’integrità della fede cristiana. Il filosofo gnostico Valentino, attivo proprio durante il suo pontificato, trovò a Roma un terreno fertile, ma Telesforo si oppose vigorosamente alla sua influenza, riaffermando la centralità del Cristo incarnato e vicino all’umanità. Durante il suo pontificato, San Telesforo portò significative innovazioni nella vita liturgica della Chiesa, segnando profondamente alcune delle tradizioni più care ancora oggi ai cristiani. Fu lui, secondo quanto tramandato da fonti antiche come il Liber Pontificalis, a introdurre il periodo della Quaresima, un tempo di preparazione spirituale e di digiuno in vista della Pasqua. La Quaresima, con il suo richiamo alla purificazione interiore, divenne così un cammino essenziale per vivere più intensamente il mistero della Resurrezione. Inoltre fu sempre questo papa a stabilire la celebrazione della Pasqua di domenica. Non meno importante fu il suo intervento sulla liturgia natalizia: Telesforo istituì la celebrazione della Messa di mezzanotte a Natale, che ancora oggi inaugura la solennità della nascita di Cristo. A questa si aggiunsero altre due liturgie: una all’aurora e una alla terza ora del giorno, scandendo con ritmo solenne l’intera giornata della Natività. Un altro dono prezioso attribuito a San Telesforo fu l’introduzione del “Gloria in excelsis Deo” nella liturgia di Natale. Questo inno, uno dei più antichi e solenni della tradizione cristiana, divenne parte integrante della celebrazione, innalzando le lodi degli uomini al cielo e richiamando l’annuncio degli angeli nella notte di Betlemme. Attraverso questi gesti, San Telesforo non si limitò a regolare riti e cerimonie: diede forma visibile alla gioia e alla speranza cristiana, consacrando i momenti fondamentali dell’anno liturgico con parole e simboli destinati a rimanere per sempre nella memoria della Chiesa. La sua vita si concluse con il martirio, come testimoniato già da Sant’Ireneo di Lione, un’antica fonte che sottolinea il suo “glorioso sacrificio” per la fede. San Telesforo fu sepolto nella Necropoli Vaticana, accanto alla tomba di San Pietro. Celebrato il 2 gennaio nel calendario liturgico, San Telesforo è venerato sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa. Il suo esempio di fermezza nella fede e di amore per la liturgia resta ancora oggi una fonte di ispirazione. Una sua immagine è custodita nella Cappella Sistina, attribuita alla cerchia di Sandro Botticelli, segno della profonda devozione che lo accompagna nei secoli.
Sant’Antero: il pontefice calabrese che volle custodire la memoria dei martiri
Nel cuore del III secolo, in un periodo ancora fragile e pericoloso per i cristiani, Roma vide un papa di origine calabrese salire brevemente al soglio pontificio: Sant’Antero, nato a Petelia, l’attuale Strongoli in provincia di Crotone, il 19° papa. Il suo nome, di chiara matrice greca, riflette le radici elleniche ancora vive nella Chiesa di Roma di quei tempi. Antero divenne papa il 21 novembre 235, succedendo a Ponziano. Il suo pontificato durò appena quaranta giorni, terminando il 3 gennaio 236, ma non fu privo di significato. In un’epoca in cui la memoria dei martiri rischiava di disperdersi tra persecuzioni e silenzi forzati, il papa calabrese decise di salvaguardare la storia e il sacrificio di chi aveva donato la vita per la fede: incaricò alcuni notai di raccogliere e trascrivere gli atti dei martiri, per preservarli dagli errori, dalle manipolazioni e soprattutto dall’oblio. Secondo il Liber Pontificalis, questo gesto coraggioso costò ad Antero la vita: sarebbe stato martirizzato sotto l’imperatore Massimino il Trace, lo stesso che aveva mandato il suo predecessore ai lavori forzati in Sardegna. Tuttavia, alcuni studiosi, tra cui il Tillemont, hanno messo in dubbio questa versione, notando che fonti più antiche lo descrivono semplicemente come “addormentato”, una formula che solitamente indica una morte naturale. Certo è che il contesto era particolarmente ostile: Massimino non vedeva di buon occhio l’attività dei cristiani e in più la Chiesa romana stava appena riprendendosi da dure persecuzioni. In ogni caso, Antero fu sepolto con onore nella Cripta dei Papi nel Cimitero di Callisto, uno dei più importanti luoghi di sepoltura cristiana della Roma antica. La sua tomba fu riscoperta nell’Ottocento, con un’iscrizione in greco che testimoniava sia le sue origini che l’uso diffuso della lingua greca nella comunità cristiana dell’epoca. Anche se la sua memoria non fu immediatamente celebrata nella liturgia romana, a partire dal IX secolo Sant’Antero viene commemorato il 3 gennaio, giorno della sua morte. Le sue reliquie, nel corso dei secoli, furono oggetto di traslazioni in diverse chiese di Roma, come San Sisto Vecchio, San Silvestro in Capite e Santa Prassede, dove ancora oggi una lapide ricorda lo spostamento avvenuto sotto papa Pasquale I. Un’altra curiosa destinazione delle reliquie si trova nel nord Italia: nel 1611 alcune ossa del santo furono trasferite a Giaveno, in Piemonte, dove si conservano ancora oggi come dono fatto da un religioso novarese. La figura di papa Antero resta una delle più enigmatiche e sfuggenti della storia della Chiesa. Non lasciò encicliche né dottrine, ma fu tra i primi a comprendere l’importanza di custodire la memoria storica e spirituale del martirio, gesto che in epoca cristiana equivaleva a fondare una coscienza collettiva. In un’epoca di persecuzioni, incertezza e transizione, il suo gesto di raccogliere e ordinare gli atti dei martiri fu un atto di resistenza culturale e spirituale, piccolo ma cruciale.
San Dionigi Papa: colui che ricostruì la Chiesa dopo la tempesta
San Dionigi Papa noto anche come San Dionisio Papa, originario di Thurio (oggi Terranova da Sibari) in Calabria, fu eletto 25° Papa della Chiesa di Roma il 22 luglio 259, succedendo al martire Sisto II in un momento delicatissimo quando Roma era appena uscita dalle devastazioni delle persecuzioni ordinate dall’imperatore Valeriano. Uomo di grande cultura e saggezza, descritto come “eccellente e dotto”, fu chiamato a ricostruire una Chiesa ferita e dispersa. Sotto il suo pontificato, grazie all’editto di tolleranza dell’imperatore Gallieno, i cristiani poterono finalmente riappropriarsi dei luoghi di culto e dei cimiteri. Il papa si impegnò a riorganizzare la vita ecclesiale e a ristabilire la rete caritativa inviando aiuti economici ai cristiani della Cappadocia, colpiti da una scorreria dei Goti e riscattando molti fedeli caduti prigionieri. Il suo pontificato fu anche segnato da gravi dispute teologiche. Il papa intervenne nella controversia sul Sabellianismo, un’eresia che confondeva le figure della Trinità, convocando un concilio a Roma nel 262. Con chiarezza e fermezza, Dionigi ribadì l’unità e la distinzione delle tre figure divine, difendendo così una fede che sarebbe stata poi sancita solennemente nei concili ecumenici. Un altro difficile caso riguardò Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia, accusato di insegnare che Gesù fosse diventato Dio solo per adozione. Dopo vari sinodi, Paolo fu infine scomunicato, un evento che confermò l’autorità crescente della sede romana anche nelle questioni dell’Oriente cristiano. San Dionigi fu un pontefice di transizione, tra le ferite delle persecuzioni e il lento consolidarsi della Chiesa nella società romana. Pur senza grandi clamori, il suo impegno per la fede corretta, la carità e la riorganizzazione della comunità cristiana gettò le basi per la crescita successiva della Chiesa. Morì il 26 dicembre 268 e fu sepolto nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Nell’iconografia viene ritratto in abiti papali con un libro. La Chiesa lo venera come santo, ricordandolo il 26 dicembre, giorno in cui viene celebrata la sua memoria liturgica.
Sant’Eusebio: il papa esiliato per difendere la disciplina della Chiesa
Nato a Casegghiano, un’antica città nei pressi dell’attuale San Giorgio Morgeto in Calabria, Sant’Eusebio salì al soglio pontificio in un momento tra i più difficili per la comunità cristiana. Fu il 31° papa della Chiesa di Roma, regnando dal 18 aprile al 17 agosto 309: un pontificato brevissimo, ma denso di tensioni e di coraggio. Eusebio si trovò a dover affrontare il delicato problema dei lapsi, i cristiani che, durante le persecuzioni, avevano rinnegato pubblicamente la fede. Fedelissimo alla tradizione della Chiesa, volle che essi fossero riammessi solo dopo una penitenza severa, come era stato stabilito dopo le persecuzioni di Decio. Non tutti però erano d’accordo: una fazione di ribelli, guidata da un certo Eraclio, pretendeva la riammissione immediata senza condizioni, generando violenti disordini a Roma. L’imperatore Massenzio, deciso a ristabilire l’ordine pubblico senza curarsi troppo delle ragioni religiose, esiliò sia Eusebio sia Eraclio. Il papa calabrese fu mandato in Sicilia, dove morì poco dopo il suo arrivo, probabilmente nel 309 o nel 310 a Siracusa, mentre di Eraclio si perde memoria. Papa Eusebio accettò l’esilio con serenità, come testimonia un carme scritto da Papa Damaso I, che lo esaltò come esempio di mitezza e fermezza nei momenti più critici. La Chiesa romana rimase senza guida per diversi anni, segno che le tensioni interne non si erano placate. Come era già accaduto dopo l’allontanamento di papa Marcello, l’unità della comunità cristiana continuava a essere lacerata dai contrasti, impedendo una nuova elezione. Nonostante l’atteggiamento tutto sommato tollerante dell’imperatore Massenzio verso i cristiani, non fu possibile eleggere un nuovo papa fino al 2 luglio del 311, quando finalmente fu scelto Milziade. Le difficoltà, quindi, non venivano più da persecuzioni esterne, ma dalle profonde divisioni interne alla Chiesa stessa. Dopo la morte, il corpo di Eusebio fu traslato a Roma, dove trovò riposo nel prestigioso Cimitero di San Callisto, in un cubicolo accanto a quello di Papa Caio. Anche grazie ai frammenti della sua epigrafe, scoperti da Giovanni Battista de Rossi, oggi conosciamo il luogo della sua sepoltura. Sant’Eusebio non fu solo un uomo di fede, ma un testimone incrollabile dell’importanza della disciplina ecclesiastica. Respinse le scorciatoie facili per il bene dell’integrità della comunità cristiana, pagando di persona il prezzo di questa fedeltà. Anche se il suo pontificato durò solo pochi mesi, Eusebio venne venerato come martire: non tanto perché subì una morte cruenta, ma perché morì in esilio a causa della sua difesa inflessibile della fede. La Chiesa lo ricorda liturgicamente il 17 agosto, giorno della sua deportazione, mentre alcune sue reliquie sono venerate a San Sebastiano fuori le mura e nella chiesa di San Lorenzo in Panisperna.
San Zosimo da Mesoraca: il papa impulsivo dalle scelte affrettate
Tra i papi che la Calabria ha dato alla storia della Chiesa, Zosimo spicca per il suo breve ma intenso pontificato, segnato da decisioni coraggiose, errori clamorosi e scontri teologici di grande portata. Nato a Reatio, l’attuale Mesoraca in provincia di Crotone, Zosimo fu il 41° vescovo di Roma, succedendo a papa Innocenzo I il 18 marzo del 417. Si trovò subito a gestire dossier bollenti, come la controversia sul pelagianesimo e la ridefinizione delle gerarchie ecclesiastiche in Gallia, che contribuirono a renderne il pontificato tutt’altro che tranquillo. Pochi giorni dopo la sua elezione, il vescovo di Arles, Patroclo, riuscì a convincerlo della necessità di assegnare alla sua diocesi il ruolo di metropoli su altre importanti città francesi, tra cui Vienne e Marsiglia. Il papa lo nominò “vicario pontificio” per tutta la Gallia, sollevando proteste vibranti da parte dei vescovi esclusi, che non riconoscevano la legittimità della manovra. La tensione rimase irrisolta fino ai tempi di Leone Magno, ma nel frattempo il caos nella Chiesa francese era ormai cosa fatta. Una delle sfide più spinose per Zosimo fu la questione dottrinale legata a Pelagio e Celestio. Sebbene il suo predecessore avesse già condannato le loro idee le quali negavano la trasmissione del peccato originale e minimizzavano la necessità della grazia divina, Zosimo accolse con favore le professioni di fede che i due presentarono a Roma, giudicandole ortodosse. Questa mossa provocò lo sconcerto dei vescovi africani, con Sant’Agostino in prima linea, che reagirono duramente. Alla fine, Zosimo fece marcia indietro: nel 418 condannò ufficialmente il pelagianesimo con la “Epistula Tractoria”, ottenendo l’appoggio delle principali Chiese d’Oriente e d’Occidente. Tuttavia, la sua iniziale esitazione gli costò credibilità e creò una spaccatura all’interno della Chiesa, culminata con la scomunica di diciotto vescovi italiani che si erano rifiutati di sottoscrivere la condanna. Zosimo aveva un carattere impulsivo e autoritario, qualità che spesso lo portarono a decisioni affrettate. Lo dimostrano non solo i problemi con la Chiesa africana, ma anche le frizioni interne alla stessa Roma, dove alcuni membri del clero arrivarono a denunciarlo alla corte imperiale di Ravenna. Cercò di rafforzare l’autorità papale stabilendo nuove regole per le ordinazioni e riformando alcuni aspetti della vita ecclesiastica, come il divieto ai religiosi di frequentare le taverne e la proibizione per i figli illegittimi di accedere al sacerdozio. Papa Zosimo morì il 26 dicembre del 418 e fu sepolto nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura. La sua figura, oggi celebrata come santo, resta quella di un papa dal profilo forte e controverso, che seppe prendere posizione in momenti critici ma fu anche vittima della sua inesperienza e della complessità politica e teologica del suo tempo. Il suo pontificato, seppur breve, segnò una fase di transizione nella storia della Chiesa, in bilico tra autorità dottrinale e lotte di potere.
Sant’Agatone: il pontefice che ricucì la frattura tra Roma e Costantinopoli
Nato verso il 575, probabilmente a Reggio Calabria (o forse a Palermo), Agatone salì al soglio pontificio il 27 giugno 678. Quando fu eletto, secondo la tradizione, aveva già più di cent’anni e fu il 79° papa. Nonostante l’età avanzata, il suo breve pontificato fu straordinariamente attivo e incisivo, tanto da lasciarne un ricordo rispettato sia in Occidente che in Oriente. Già monaco, Agatone si distinse per la sua cultura, la sua finezza diplomatica e la grande carità verso i poveri. All’inizio del suo pontificato, riuscì a completare la sottomissione della Chiesa di Ravenna a Roma, una questione rimasta aperta dai tempi del suo predecessore. Nel 679 si interessò della Chiesa Anglosassone ricevendo l’abate di Wearmouth Benedetto Biscop e rimettendo sul suo legittimo seggio l’arcivescovo di York Vilfrido, ingiustamente deposto in precedenza da Teodoro di Canterbury. Nel 680 l’imperatore bizantino Costantino IV Pogonato, desideroso di sanare la frattura religiosa tra Oriente e Occidente, scrisse ad Agatone per convocare una conferenza sui problemi dottrinali che ancora dividevano le Chiese. Il papa rispose radunando un grande sinodo a Roma, con 125 vescovi provenienti da tutte le comunità cristiane, per cercare di approvare una professione di fede netta e chiara sulla duplice natura di Cristo, divina e umana in perfetta armonia. La delegazione romana, inviata a Costantinopoli, fu accolta calorosamente il 10 settembre del 680 dal patriarca Giorgio e dagli altri vescovi bizantini. La prevista conferenza che ebbe inizio il 16 settembre del 681 nella grande sala del Trullus, si trasformò nel sesto Concilio Ecumenico, durante il quale fu finalmente condannata l’eresia monotelita e, con grande imbarazzo, anche il papa Onorio I, accusato di aver mostrato indulgenza verso quella dottrina (in seguito verrà riabilitato solo durante il Concilio Vaticano I nel 1868). Purtroppo Agatone non visse abbastanza da vedere la conferma ufficiale di quelle decisioni: morì a Roma il 10 gennaio 681, forse vittima di un’epidemia di peste che in quel periodo colpiva la città. I padri conciliari, però, gli resero omaggio riconoscendo che, attraverso la voce del papa calabrese, era stata Roma a proclamare la verità di fede. Agatone lasciò anche un segno tangibile nell’amministrazione della Chiesa romana, riformandone la gestione economica con scrupolo e rigore personale. Si distinse inoltre per profondità di dottrina e spirito caritativo specialmente verso i poveri. Oggi è il patrono di Palermo.Venne sepolto nella basilica di San Pietro e oggi è venerato come santo sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa. La sua memoria liturgica ricorre il 10 gennaio. Una curiosità: non esistono documenti a riprova della sua data di nascita certa, ma se si prendono per buoni i dati della sua agiografia, Agatone sarebbe il pontefice più longevo al termine del ministero mai vissuto, nonché quello più anziano al momento dell’elezione.
San Leone II: il pontefice calabrese che unì fede, musica e diplomazia
Leone II, nato a Reggio Calabria (secondo altre fonti in Sicilia), fu uno dei pochi papi dell’alto medioevo che riuscì a coniugare eloquenza, cultura e carisma liturgico con una fine abilità diplomatica. Vestì l’abito canonico nel monastero di Bagnara e successivamente fu eletto cardinale da Sant’Agatone Papa di cui fu il successore. Salì al soglio pontificio il 17 agosto 682, ben 18 mesi dopo la sua elezione, a causa dei tempi burocratici dell’approvazione imperiale da parte di Costantino IV di Bisanzio, allora essenziale per la consacrazione papale. Il contesto storico era tutt’altro che semplice: la Chiesa stava uscendo dalla lunga e tormentata controversia del monotelismo, dottrina che riconosceva in Cristo una sola volontà (divina). Leone II, l’80° papa, in continuità con il suo predecessore Agatone, approvò le conclusioni del VI Concilio Ecumenico (680-681), condannando questa eresia. Tuttavia, si rifiutò di definire eretico Papa Onorio I, come invece richiesto da Costantinopoli, e lo accusò solo di negligenza e debolezza, evitando una spaccatura insanabile tra Oriente e Occidente. Altro successo importante del pontificato di Leone II fu la ricomposizione dello scisma con la Chiesa di Ravenna, dichiaratasi indipendente nel 666. Con l’arcivescovo Teodoro, Leone raggiunse un compromesso: Roma riottenne la sua autorità, ma con l’esenzione dalle tasse consuete per i vescovi ravennati. In questo modo cercò di affermare la supremazia papale contro i continui tentativi dei Patriarchi di Costantinopoli di liberarsi dalle dipendenze di Roma. Fu anche un innovatore nella liturgia: introdusse il “bacio della pace” nella Messa, sostenne il canto liturgico e restaurò chiese, tra cui Santa Bibiana e San Giorgio in Velabro. Inoltre stabilì che gli eletti agli Arcivescovadi nulla dovessero pagare per l’uso del pallio, ridusse gli inni ecclesiastici a più sonoro concerto, celebrò con grande pompa esterna le funzioni religiose, affinché i fedeli fossero sempre più consapevoli della maestà di Dio e istituì l’aspersione dell’acqua benedetta nei riti cristiani e sul popolo. Il Liber Pontificalis lo descrive come un uomo colto, versato in greco e latino, amante del canto e della povertà, qualità che lo rendono plausibilmente direttore della Schola Cantorum del Laterano. Papa Leone II morì il 3 luglio 683 dopo appena dieci mesi di pontificato, ma il suo impatto fu significativo. Fu sepolto nella Basilica di San Pietro, e le sue reliquie, insieme a quelle dei papi Leone I, III e IV, furono traslate nel 1607 sotto l’altare della Madonna della Colonna. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quelle ortodosse e la sua memoria liturgica cade, appunto, il 3 luglio.
Papa Giovanni VII: L’uomo d’arte sul trono di Pietro
Tra i papi forse meno noti ma più affascinanti dell’alto Medioevo c’è Giovanni VII, l’86° pontefice dal 1° marzo 705 al 18 ottobre 707. Nato a Rossano, nella Calabria bizantina, era figlio di Platone, un importante funzionario dell’Impero che prestava servizio sul Colle Palatino a Roma. Il suo legame con l’ambiente imperiale orientale e la sua profonda formazione culturale lo resero una figura atipica: un papa artista, erudito e diplomatico, più interessato al culto, all’arte e all’equilibrio che ai confronti diretti. Giovanni VII fu descritto come eloquente, colto e amante delle arti, e la sua azione pastorale riflette più la mano del mecenate che del politico. Durante il suo pontificato promosse il restauro e l’abbellimento di diverse chiese, come Santa Maria Antiqua e la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro, e curò con grande attenzione anche i monumenti e i cimiteri della Roma paleocristiana. Fece costruire a San Pietro un oratorio dedicato alla Vergine Maria, dove volle essere sepolto, sottolineando così visivamente il legame tra il papato, la tradizione apostolica e la figura di Maria. Non solo: fu anche il primo papa a farsi ritrarre in vita, grazie ai mosaici che fece realizzare nelle chiese da lui restaurate. Questo rende il suo volto uno dei primi ritratti autentici di un pontefice, un dettaglio affascinante per la storia dell’arte e dell’iconografia cristiana. Sul piano politico, Giovanni VII si trovò a gestire i rapporti con due potenze complesse: da un lato i Longobardi, dall’altro Costantinopoli. Con i primi seppe intessere relazioni cordiali, tanto che il re Ariperto II restituì alla Chiesa alcuni territori sulle Alpi Cozie, sottratti decenni prima da re Rotari. Questo gesto fu più che simbolico: rappresentava un riconoscimento del ruolo del papa come figura non solo religiosa, ma anche legittimo interlocutore politico. I rapporti con l’imperatore Giustiniano II, invece, furono più delicati. L’imperatore, tornato al potere dopo un decennio di esilio, voleva ottenere il consenso papale agli atti del Concilio Quinisesto, che ribadiva canoni orientali non accettati in Occidente. Giovanni VII, timoroso di rompere l’equilibrio con l’Oriente ma anche consapevole della posizione romana, rimandò i documenti senza commenti né approvazione, in un gesto che il Liber Pontificalis definisce “timido per umana fragilità”. Ma questa apparente indecisione può essere letta anche come scelta prudente, forse l’unica possibile in un contesto in cui ogni parola poteva accendere un conflitto tra potenze armate e interessi opposti. Morì a soli 57 anni, il 18 ottobre 707, e fu sepolto nella cappella da lui dedicata alla Vergine in San Pietro. Un dettaglio che lo distingue dai predecessori: fu il primo papa a farsi costruire un oratorio funerario personale, sottolineando in modo inequivocabile il suo legame con l’autorità spirituale di San Pietro e con la figura del papa come successore visibile dell’apostolo. In tempi difficili, fu una figura di equilibrio, bellezza e moderazione, capace di lasciare il segno con la forza discreta delle immagini.
San Zaccaria: il papa calabrese che cambiò la storia d’Europa
Nato a Santa Severina intorno al 700, Papa Zaccaria fu il 91° pontefice delle Chiesa di Roma, l’ultimo dei papi di origine greca e uno dei grandi artefici della trasformazione politica dell’Europa medievale. Eletto nel 741, succedendo a Gregorio III, in un momento di crisi profonda per l’Italia bizantina minacciata dai Longobardi, Zaccaria si distinse per la sua abilità diplomatica e per la capacità di trattare su più fronti in Italia e all’estero. Il primo grande banco di prova per il nuovo pontefice fu rappresentato dalla pressione militare del re longobardo Liutprando. Con grande coraggio, Zaccaria si recò personalmente a Terni, incontrando il sovrano e convincendolo a restituire territori occupati e a stipulare una tregua ventennale. La sua azione diplomatica riuscì persino a evitare un’ulteriore aggressione longobarda ai danni della Pentapoli bizantina (regione comprendente cinque città delle Marche, Ancona, Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia), garantendo qualche anno di fragile stabilità. Anche con il suo successore, il Duca del Friuli Rachis, riuscì a negoziare la fine delle ostilità, tanto che il sovrano, impressionato dalla figura del papa, rinunciò al trono per farsi monaco presso il monastero di Montecassino. Ma l’influenza di Zaccaria non si fermò all’Italia. Il vero capolavoro politico di Papa Zaccaria si giocò sullo scacchiere franco. In quel periodo, il regno dei Franchi era formalmente sotto i Merovingi ma di fatto governato dalla potente famiglia dei Carolingi. Pipino il Breve (futuro padre di Carlo Magno) e il fratello Carlomanno erano maestri di palazzo e amministravano il potere effettivo, mentre il re merovingio Childerico III era ormai una figura puramente simbolica, priva di autorità reale. Di fronte a questa situazione i nobili franchi compresero che era necessario legittimare una nuova forma di governo. Fu così che, nel 751, Pipino inviò a Roma una delegazione guidata dal vescovo Burcardo di Würzburg e dall’abate Fulrado di Saint-Denis. La loro missione era porre al papa una domanda semplice, ma carica di conseguenze: “Chi deve essere re: colui che detiene il potere o colui che ha solo il nome di re?” Zaccaria, con una risposta che avrebbe cambiato la storia, affermò che la legittimità spettava a chi esercitava il potere. Con questa autorevole sentenza, Papa Zaccaria sancì la fine della dinastia merovingia e aprì la strada a quella carolingia. Pipino fu quindi unto e incoronato re dei Franchi a Soissons nel 751 (Childerico III e il figlio Teodorico furono chiusi in convento)., inaugurando una nuova era politica in cui il sacro e il regale si intrecciavano: non era solo l’autorità militare a legittimare un sovrano, ma anche la consacrazione religiosa. Alla fine del 747 Carlomanno, uno dei due maestri di palazzo franchi, rinunziò alla posizione di potere che aveva nel regno, per motivi che restano oscuri, si recò a Roma dove chiese al papa la consacrazione ecclesiastica e si fece monaco. Zaccaria gli affidò il monastero di S. Andrea al monte Soratte, che costituiva una tappa fondamentale per i pellegrini franchi che si recavano a Roma a visitare le tombe dei martiri. Riguardo l’Impero d’Oriente, ebbe rapporti burrascosi con l’imperatore Costantino V Copronimo (718-775), fautore della politica iconoclasta, riuscendo alla fine a renderlo favorevole alla Chiesa di Roma. Oltre alla sua straordinaria attività politica, Zaccaria fu anche un promotore di opere sociali e religiose: restaurò il Laterano, rafforzò le istituzioni caritative di Roma, fondò aziende agricole a gestione diretta per l’approvvigionamento alimentare, e favorì la diffusione della cultura greca traducendo i “Dialoghi” di Gregorio Magno. Morto a Roma il 15 marzo 752, fu sepolto a San Pietro. Il suo pontificato segnò il tramonto dell’antico legame esclusivo con Bisanzio e l’apertura del Papato verso un’alleanza stabile con l’Europa franca: un cambiamento che avrebbe ridisegnato i destini dell’Occidente per secoli.
Papa Stefano III: Il Pontefice tra Intrighi e Diplomazia
Papa Stefano III nacque nel 720, probabilmente a Santo Stefano d’Aspromonte in Calabria o, secondo altre fonti, a Siracusa in Sicilia. Trasferitosi giovanissimo a Roma, trovò accoglienza presso il monastero benedettino di San Crisogono, dove ricevette una formazione religiosa di alto livello grazie a papa Gregorio III. Dopo la morte del pontefice fu chiamato ad assumere il ruolo di “cubicularius del Patriarchium lateranense” dal nuovo papa, Zaccaria, che lo ordinò presbitero cardinale del titolo di S. Cecilia, uffici che, stando a quanto riferito dal Liber pontificalis, il giovane calabrese cominciò a svolgere con tale competenza e discrezione da indurre i successori di Zaccaria, Stefano II e Paolo I, a mantenerlo in carica in entrambe le funzioni. Descritto come “Uomo valoroso, istruito nelle Sacre Scritture, imbevuto delle tradizioni ecclesiastiche e instancabile perseveratore nella loro osservanza”, ben presto divenne uno dei più autorevoli e ascoltati esponenti della curia romana. Dopo la morte di Papa Paolo I nel 767, Roma fu sconvolta da gravi disordini: l’antipapa Costantino II, un laico sostenuto dall’aristocrazia romana, prese il controllo della città. Solo nel 768, con l’intervento delle truppe longobarde e la successiva caduta di Costantino, si poterono ristabilire le condizioni per una legittima elezione. Stefano, forte della stima acquisita in Curia e sostenuto dal primicerio Cristoforo, venne eletto e consacrato come 94° papa il 7 agosto 768. Nei primi anni di pontificato, Stefano III convocò un concilio a San Giovanni in Laterano nell’aprile 769. L’assemblea condannò l’elezione dell’antipapa Costantino, stabilì nuove regole per l’elezione papale, riservandola ai cardinali diaconi e presbiteri e condannò l’iconoclastia, riaffermando il culto delle immagini sacre. Il suo pontificato fu segnato da delicate manovre politiche, infatti, cercò di mantenere l’indipendenza del papato tra i Longobardi di re Desiderio e i Franchi di Carlo Magno e Carlomanno e cercò, senza successo, di impedire l’alleanza matrimoniale tra Carlo e la figlia di Desiderio, temendo uno squilibrio politico a danno della Chiesa. L’alleanza franco-longobarda, seguita dal tradimento di Desiderio, che non restituì i territori promessi alla Chiesa, indebolì la posizione di Stefano III. Internamente, il papa dovette anche affrontare i tumulti e il tradimento di uomini una volta fidati, come Paolo Afiarta. Gli ultimi anni furono caratterizzati da isolamento politico e difficoltà crescenti. Papa Stefano III morì a Roma il 24 gennaio 772 e fu sepolto nella Basilica di San Pietro. Nonostante le sfide del suo pontificato, riuscì a mantenere il prestigio della Sede Apostolica in un periodo di forti tensioni e instabilità.
Giovanni XVI: l’antipapa calabrese che sfidò l’Impero
Giovanni Filagato, conosciuto come Giovanni XVI l’antipapa, nacque intorno al 945 a Rossano, nella Calabria bizantina, da una famiglia di umili origini. Monaco colto e ambizioso, fu legato da profonda amicizia con San Nilo, grande figura del monachesimo italogreco. La sua ascesa fu rapida: entrato nella corte dell’imperatrice bizantina Teofano, tra le donne più influenti del Medioevo, cugina del basileus Romano II e successivamente moglie di Ottone II, divenne abate dell’importante Abbazia di San Silvestro di Nonantola e, nel 987, fu nominato tutore e padrino di battesimo del giovane erede imperiale Ottone III. Più tardi, grazie al favore di Teofano, Giovanni fu abusivamente nominato vescovo di Piacenza, consolidando il suo potere ecclesiastico e politico. Alla morte di Giovanni XV nel 996 e dopo la tumultuosa elezione di Gregorio V (primo papa tedesco) per volere di suo cugino Ottone III in cambio dell’incoronazione a imperatore avvenuta il 21 maggio dello stesso anno, l’aristocrazia romana, in lotta contro il dominio tedesco, impose Giovanni Filagato come papa nel 997, con il nome di Giovanni XVI. Tuttavia, il suo pontificato fu immediatamente contestato e scomunicato dal sinodo di Pavia. Nel 998, l’imperatore Ottone III marciò su Roma, sedò la rivolta e ristabilì sul trono pontificio Gregorio V togliendo di fatto il suo padrino che lo aveva tradito non rispettando la sua scelta. Giovanni tentò la fuga ma venne catturato e subì una sorte crudele. Venne accecato, privato di naso, orecchie, lingua e dita e umiliato pubblicamente in una processione infamante e derisoria (forse ispirata all’antico rituale romano della Cornomania): fu trascinato nudo per le vie di Roma a cavalcioni di un asino con il capo rivolto all’indietro e con la coda in mano, rivestito di un ridicolo copricapo (forse un otre o un tubo di canapa o di lino, parodia della mitra indossata dai papi nelle solenni cerimonie di intronizzazione), prima di essere confinato in un monastero dove trascorse i suoi ultimi anni. Giovanni XVI venne, infatti, esiliato nell’Abbazia di Fulda, in Germania, dove morì il 26 agosto 1001. È ignoto il luogo della sepoltura. A nulla valse l’intercessione dell’amico San Nilo, che profetizzò sciagure sui responsabili delle atroci barbarie subite dal suo amico: sia Gregorio V sia Ottone III morirono prematuramente. Anche se ufficialmente non riconosciuto e scomunicato, nessun altro papa assunse il nome di Giovanni XVI. Egli resta una figura controversa, ambizioso, colto, forse travolto da sogni di grandezza e giochi di potere più grandi di lui. La sua tragica fine è uno dei simboli più forti delle lotte feroci tra Chiesa, aristocrazia romana e Impero alla fine del primo millennio.
Alfonso Morelli team Mistery Hunters
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