PITTARELLA: IL PAESE DELLE MAGARE
Nel cuore più interno della Calabria, dove le montagne ancora custodiscono silenzi primordiali e le pietre dei vicoli sembrano trattenere echi di preghiere e sortilegi, sorge Pittarella, frazione del comune di Pedivigliano nella provincia di Cosenza. Posto a 471 metri d’altitudine, il paese si adagia come un nido tra le pieghe delle pendici del Reventino, guardando ad ovest verso la foce del fiume Savuto. È un luogo che sfugge alle coordinate canoniche del turismo o della modernità, ma che si apre come uno scrigno per chi è disposto a leggere tra le pieghe del tempo. Pittarella è conosciuta non solo per la sua bellezza rurale e l’aria fine che profuma di castagno e ginestre, ma anche, dicendolo sottovoce, con lo stesso timore reverenziale che si riserva al sacro e al pericoloso, come “il paese delle magare”. Pittarella non compare nei libri di storia con lettere maiuscole. Le sue vicende si intrecciano a quelle dei più vasti comuni di Scigliano, Pedivigliano e Soveria Mannelli, ma proprio questa marginalità è ciò che l’ha preservata dal tempo e dalla cancellazione culturale. Già nel XIII secolo, Carlo I d’Angiò concesse il feudo a Raniero de Telesio. Tuttavia, poiché quest’ultimo aveva parteggiato per Manfredi nella battaglia di Benevento (1266), fu accusato di tradimento e il feudo venne revocato e assegnato ai fratelli Giordano e Galardo de Lisergiis, leali alla corona angioina. Nel 1386, Francesco Scaglione di Aversa, nominato maresciallo del Regno di Napoli da Luigi II d’Angiò, ricevette in feudo Pittarella insieme a Castello (Castiglione Marittimo, frazione di Falerna) e Martirano. Con la restaurazione del Re Ladislao nel 1399, i beni furono confiscati, ma nel 1402, grazie a un indulto, fu restituita solo la baronia di Pittarella al figlio di Francesco, Tommaso Scaglione.
La baronia rimase alla famiglia Scaglione fino al XVII secolo. Dopo la morte di Francesco Scaglione e della moglie Antonia de Filippis, l’eredità feudale passò alla figlia Caterina. Alla morte di Caterina nel 1684, la sorella Giovanna (sposata con Nicola Matera) divenne erede universale. Alla morte di Giovanna nel 1706, fu erede il figlio Francesco Matera, morto nel 1724. La sorella Maria Matera ereditò il feudo che passò alla sua morte, nel 1744, al figlio Francesco Passalacqua diventandone barone. Il titolo fu mantenuto dai Passalacqua fino all’abolizione della feudalità da parte di Giuseppe Bonaparte nel 1806. Tuttavia, un tal Giuseppe Passalacqua continuò a fregiarsi del titolo di Barone di Pittarella fino alla sua morte nel 1816. Oggi come vestigia del casato Passalacqua rimane un grande palazzo nobiliare al centro del paese, baluardo di una storia cittadina fatta di sfarzo e resistenza. Da secoli, però, Pittarella è sinonimo di mistero, di riti antichi, di donne sapienti chiamate “magare”. Da questo piccolo borgo si sparsero per tutta la nostra regione diffondendo le loro arti magiche e le loro arcane e oscure conoscenze. Le “Magare di Pittarella” erano celebri non solo in Calabria, ma anche oltre i confini regionali e perfino oltre le Alpi. Le loro arti erano richieste da chi cercava guarigione, protezione o maleficio. Il loro sapere, un misto di medicina empirica, rituali precristiani, astrologia e contatto con la natura, veniva tramandato di madre in figlia. Il termine “magara” deriva dal greco “magaria”, ovvero “stregoneria“, e a Pittarella ogni sasso e sentiero sembrano ancora raccontare la presenza di queste donne che conoscevano il linguaggio del vento, della luna, e delle erbe. Secondo lo storico Vincenzo Padula, che nel 1871 scrisse il trattato Protogea, Pittarella potrebbe derivare da “Pethor”, termine ebraico che significa “interpretazione dei sogni”.
Nella sua visione, Pittarella sarebbe stata un tempo un centro profetico dove donne sacerdotesse, eredi delle magare, custodivano segreti arcani e offrivano interpretazioni sacre dei sogni, specialmente ai nobili che da Napoli o da Palermo mandavano i loro emissari per sbrogliare i loro dubbi onirici. Nel Protogea, Padula descrive le magare con tratti degni di mitologia: “magici sguardi, magiche parole, diabolico riso”. Le collega a Circe e Medea, simboli di potere femminile oscuro e irresistibile. Diceva ancora il Padula che l’espressione “Tu sei una magara di Pittarella” era quanto di peggio si poteva dire ad una donna in Calabria per rafforzare il concetto di quanto queste figure erano temute da chi non ne comprendeva il loro potere e le loro conoscenze. Altre testimonianze provengono dalla poesia vernacolare di Duonnu Pantu, prete-poeta del Seicento di Aprigliano, che narra della magara “Ndriana”, capace di resuscitare i morti e oscurare il sole. La strega calabrese non è la caricatura medievale con cappello a punta. È piuttosto una donna ambivalente, trattata con profondo rispetto, quasi venerazione ma anche vista con diffidenza e timore. Le magare di Pittarella erano figure centrali nella comunità, riconosciute per la loro profonda conoscenza delle erbe medicinali e dei rituali tradizionali. Utilizzavano incantesimi, preghiere e talismani per proteggere le persone dal malocchio e da altre influenze negative. La loro saggezza era tramandata oralmente, preservando antiche tradizioni che combinavano elementi pagani e cristiani. In un’epoca in cui la medicina era poco accessibile, le magare svolgevano un ruolo fondamentale come guaritrici e consigliere spirituali. La comunità si affidava a loro non solo per curare malattie fisiche, ma anche per affrontare problemi emotivi e spirituali. La loro presenza era tanto temuta quanto rispettata, e la loro influenza permeava ogni aspetto della vita quotidiana. La popolazione locale usava appellativi rispettosi, come “cummari” o “ziarella”, per rivolgersi a queste donne enigmatiche.
Storie come questa, ritenute superstizioni fino a qualche decennio fa, stanno vivendo oggi una riscoperta, anche grazie agli studi antropologici che vedono in queste “streghe” donne sapienti, spesso perseguitate o isolate, custodi di pratiche ancestrali. Elemento centrale dell’identità mistica di Pittarella è il quadrivio: un crocevia di quattro strade, ciascuna rivolta a un punto cardinale, in prossimità della fiumara Bisirico. Per molti è solo un punto di passaggio, ma per chi conosce il folklore calabrese, i crocicchi sono portali. Luoghi di confine, dove il mondo dei vivi e quello degli spiriti si sfiorano. La tradizione vuole che proprio qui le magare si radunassero di notte, calzando panni bianchi per non far rumore, o trasformandosi in animali per passare inosservate. Ballavano in cerchio, in lingue antiche, sotto la luna nuova, invocando spiriti e forze della natura. Il quadrivio simboleggia anche la scelta. Il bivio è già decisione: ma il quadrivio moltiplica il destino, e quindi mette alla prova l’anima. In molte culture, incroci come quello di Pittarella sono associati a figure di guardia, spiriti custodi o demoni tentatori, che pongono enigmi o offrono poteri in cambio di un prezzo. Per proteggere i viandanti da eventuali “smarrimenti dell’anima”, fu costruita una cona, un’edicola votiva a quattro facce, raffigurante santi e simboli sacri. Chi vi passava recitava una preghiera e si segnava con la croce per esorcizzare il male. Chissà se la costruzione del convento da parte dei Cappucini proprio a metà strada tra il borgo e questo luogo “stregato” sia stata voluta con la volontà precisa di arginare queste forze considerate diaboliche dalla chiesa. E chissà se la chiesa oggi dedicata a San Nicola ma prima dedicata alla Purificazione della Beata Vergine Maria, cappella privata dei baroni Passalacqua, era un rifugio per chi cercavano protezione dai malefici delle magare o un luogo di conversione di queste ultime. E ancora chissà se Largo della Corte, prima sede del tribunale cittadino, ha visto la condanna a morte di magare con manifestazioni pubbliche usuali dell’epoca come i roghi. A queste domande per ora non abbiamo risposta. Quello che sappiamo è che purtroppo l’enigmatica edicola votiva versa in completo stato di abbandono e si spera che prima o poi venga valorizzato a dovere.
Ancora oggi, nel paese di Pittarella, si trovano segni visibili di questo passato magico: i “mascaruni” sulle case, amuleti protettivi contro le forze oscure, e ancora in alcune case, mentre erano in fase di ristrutturazione, sotto le soglie d’ingresso o dietro le travi in legno, sono emersi simboli incisi e oggetti avvolti in stoffa come forbici, zampe di gallina con dei capelli arrotolati o spilli insieme ai capelli, tipici della magia rurale. Questo è successo quando è stato aperto nella casa dell’ultima fattucchiera del paese il lounge bar “Magaria”, luogo di resilienza e tradizione curato e portato avanti con garbo e maestria da Andrea Barbiero, la nostra guida per le vie del suo borgo natio. Ancora oggi persistono credenze come le “umbre pagane”: si raccomanda alle neomamme di non portare fuori di casa la notte i bambini non battezzati, ne di tenere i loro panni fuori ad asciugare dopo il tramonto. Secondo l’antica leggenda esiste il rischio che se ne impossessino proprio le “umbre pagane”, cioè spiriti erranti pagani (dei non battezzati). Le ombre pagane possono provocare strane malattie, come febbri costanti e misteriose, oppure addirittura impossessarsi del corpo del pargolo. Ancora è in voga lo “sfascino”, rituale contro chi “ha gettato uno sguardo malevolo su di te” facendoti semplicemente un complimento, solo apparentemente benevolo, oppure ha provato invidia, la cui formula viene trasmessa ancora in un solo giorno dell’anno, la notte di Natale. Oppure il sacchetto contro il malocchio con dentro sale grosso, aglio, un corno, un santino, da portare sempre con sé perché come soleva dire il grande Eduardo De Filippo, riferendosi a quell’universo pittoresco che ruota intorno ai misteri dell’oltremondo: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male». Si narra che durante le fasi lunari, soprattutto la luna crescente, le donne del luogo seguano rituali ancestrali per favorire la crescita dei capelli e la salute della pelle.
Questi gesti, tramandati di generazione in generazione, sono intrisi di credenze popolari che attribuiscono alla luna poteri influenti sulla vita quotidiana. La notte di Natale, le famiglie lasciano la tavola apparecchiata dopo il cenone, un gesto carico di significato. Si crede che in queste ore le anime dei defunti tornino a visitare i luoghi a loro cari, e trovare la tavola imbandita rappresenta un segno di accoglienza e rispetto verso di loro. Questo rito, diffuso in varie regioni italiane, simboleggia il legame tra i vivi e i morti durante le festività. La vigilia dell’Epifania è avvolta da un’aura di incanto. Secondo una leggenda calabrese, in questa notte gli animali acquisiscono la capacità di parlare, rivelando i segreti e i pensieri più profondi. Si racconta che ascoltare le loro conversazioni porti sventura, poiché svelerebbero verità che l’uomo non dovrebbe conoscere. Per questo motivo, si evita di spiarli, lasciando che la magia della notte segua il suo corso. Nel mese di Marzo, a Pittarella e nei casali vicini, si faceva un rito propiziatorio che simboleggiava la cacciata dal villaggio delle streghe: si percorrevano tutte le strade in lungo e in largo correndo e suonando dei campanacci e gridando contemporaneamente: “E’ venutu Marzu”, perché si diceva che a Marzo andavano in giro le magare. Infine, per proteggere la casa dalle energie negative, si usa posizionare un “crivu” (setaccio) sull’uscio. Questo oggetto, simbolo di purificazione, serve a filtrare le influenze maligne, permettendo solo al bene di entrare nell’abitazione. Un gesto semplice ma potente, che testimonia la ricchezza delle credenze popolari calabresi e il loro profondo legame con il mondo spirituale. Pittarella rimane un luogo dove il confine tra storia e mito è sottile come una nebbia mattutina. I tramonti infuocati, i silenzi che avvolgono il quadrivio e le storie sussurrate dagli anziani, continuano a far vibrare la memoria collettiva.
Oggi, l’eredità delle magare di Pittarella è oggetto di riscoperta e valorizzazione. Eventi culturali, tra cui vogliamo ricordare il festival “Lievitazioni”, studi antropologici e iniziative locali mirano a preservare e diffondere la conoscenza di queste figure emblematiche della cultura calabrese. La loro storia rappresenta un patrimonio immateriale che continua a influenzare l’identità e le tradizioni di questo piccolo paese. Le magare non sono scomparse: forse hanno solo cambiato forma, come nella loro antica arte di metamorfosi. E Pittarella resta, incantata, custode di un sapere che sfida il tempo.
Alfonso Morelli team Mistery Hunters
Foto: Alfonso Morelli (© All rights reserved)