Il cedro di Calabria non è un frutto qualunque: è un talismano naturale che racchiude storia, fede, scienza e cucina. Chi percorre la Riviera dei Cedri, tra Santa Maria del Cedro e Diamante, non incontra solo campi coltivati, ma un intreccio millenario di simboli e tradizioni.
Da secoli, proprio qui, cresce il “cedro liscio Diamante”, varietà unica e ricercatissima, tanto da essere considerata la più pregiata del mondo. La sua buccia spessa e profumata, la polpa poco succosa, il colore dorato: tratti che lo rendono non solo un ingrediente di pregio, ma anche un oggetto sacro e misterico. Ogni estate, quando i frutti iniziano a maturare, arrivano rabbini da Israele, dagli Stati Uniti e dall’Europa per selezionare gli etrogim, i cedri destinati alla festa di Sukkòt. Osservano con attenzione ogni dettaglio: la presenza del pitam (il piccolo stelo floreale), l’assenza di macchie o deformazioni, la purezza dell’albero non innestato. Non è un semplice atto agricolo, ma un rito in cui il frutto diventa simbolo del cuore umano, della bellezza e dell’integrità spirituale. Nella liturgia ebraica, il cedro viene unito ad altre tre piante per formare i Quattro Specie: insieme rappresentano l’armonia della comunità, la gioia e il legame tra corpo e spirito. T
erminata la festa, l’etrog non perde valore: in molte famiglie viene trasformato in marmellate, liquori o profumatori, prolungando il respiro del sacro nella vita quotidiana. Il cedro, però, non appartiene solo alla religione. È un ponte tra culture e un laboratorio per la scienza. Nella tradizione mediterranea è simbolo di prosperità e protezione, nell’alchimia rappresenta purificazione e immortalità, mentre in Asia la varietà sarcodactylis, nota come “mano di Buddha”, viene offerta sugli altari come augurio di felicità e lunga vita. Ovunque, il cedro custodisce l’idea di un frutto che non nutre soltanto il corpo, ma anche l’anima. Sul piano gastronomico, la Calabria gli ha dato una seconda vita. Qui nasce la celebre insalata di cedro, fatta di fettine sottili condite con olio e sale, fresca e profumata. Qui si preparano marmellate e scorzette candite che finiscono nelle cassate siciliane e nei panettoni artigianali, sciroppi, liquori e la leggendaria “cedrata”. La canditura stessa è un’arte: i frutti vengono lavati, sbollentati e immersi lentamente in sciroppi sempre più dolci, in un processo che dura giorni e che permette di conservare aroma, colore e consistenza. Oggi, studi scientifici hanno dimostrato come una canditura lenta e delicata preservi meglio i polifenoli e i composti bioattivi, rendendo i canditi non solo deliziosi, ma anche funzionali dal punto di vista nutrizionale.
La scienza ha svelato i segreti nascosti sotto la scorza spessa del cedro. I suoi oli essenziali sono ricchi di limonene, citrali e terpeni, sostanze con comprovate proprietà antimicrobiche, antinfiammatorie e antiossidanti. Non è un caso che vengano utilizzati in aromaterapia, in profumeria e in cosmesi, oltre che nell’industria alimentare come conservanti naturali. Anche gli scarti diventano risorsa: dall’albedo, la parte bianca e spugnosa, si estrae la pectina, un addensante naturale fondamentale in gelatine, marmellate e bevande funzionali. Le nuove tecnologie, come l’estrazione assistita da ultrasuoni o microonde, hanno reso possibile una resa più alta e un miglior rispetto delle molecole delicate, aprendo la strada a un utilizzo circolare dell’intero frutto. Ma la vera magia del cedro si coglie anche attraverso le leggende e i racconti popolari della Calabria. Si dice che i Fenici furono i primi a portare questi frutti sulle coste tirreniche, doni degli dèi del mare capaci di proteggere i naviganti. Nel Medioevo i pellegrini in cammino verso la Terra Santa ne portavano uno come amuleto contro i pericoli del viaggio.
Ancora oggi, tra gli anziani della Riviera, si ricordano usanze antiche: appendere una buccia di cedro essiccata sopra la porta di casa per tenere lontani spiriti maligni e malattie; conservare un frutto sul comodino per garantire sogni sereni ai bambini. Alcune leggende narrano che quando un cedro perfetto veniva restituito dal mare dopo una mareggiata, la comunità lo interpretava come segno di prosperità e abbondanza. Il cedro entrava persino nelle feste religiose locali: portato in processione, ornava gli altari come simbolo di abbondanza e di protezione divina. Intagliato sul legno delle cassapanche, ricamato nei tessuti di corredo, dipinto sulle ceramiche, era segno di ricchezza e fertilità. Nei proverbi calabresi, veniva definito la “dote della terra”, dono prezioso che andava custodito con rispetto perché conteneva una forza insieme naturale e sacra. Camminando nei campi di cedro calabresi, tra il mare e le colline, si avverte un senso di continuità: da una parte l’agricoltore che cura le piante con mani antiche, dall’altra il rabbino che osserva i frutti alla ricerca della perfezione rituale, e non lontano lo scienziato che in laboratorio isola le molecole per nuove applicazioni. Tutti, in fondo, stanno facendo la stessa cosa: trasformare la materia in significato. Il Museo del Cedro, a Santa Maria del Cedro, custodisce la memoria di questa pianta straordinaria, con i suoi strumenti, le fotografie, i documenti storici e le testimonianze delle famiglie che da generazioni coltivano questo “oro profumato”.
E oggi, grazie al Consorzio di tutela, il “Cedro di Santa Maria del Cedro” si avvia verso il riconoscimento di marchi di qualità che lo renderanno ancora più noto nel mondo. E forse è proprio in questo il suo segreto: ogni cedro racchiude in sé un microcosmo, un equilibrio di terra e di cielo, di scienza e di mito. Stringerne uno tra le mani significa sentire l’eco dei Fenici che lo portarono per mare, il canto dei rabbini che lo elevano nelle feste di Sukkòt, la voce dei contadini che lo trasformano in candito o marmellata, il sussurro delle nonne che lo consideravano un amuleto. È come se il cedro fosse un libro naturale scritto con il linguaggio della luce e del profumo. Guardandolo, con la sua scorza dorata che sembra custodire il sole, viene spontaneo pensare che non sia solo un frutto, ma un messaggio. Un invito antico e sempre attuale: cercare, dentro le cose semplici, quella scintilla che lega l’uomo al mistero del mondo.
Giuseppe Oliva Team – Mistery Hunters





















