Il termine monolito deriva dalla parola greca μονόλιϑος, ovvero monolithos, composta da mono (uno o singolo) e lithos (pietra). Si tratta di una formazione rocciosa costituita da un unico blocco di pietra, a volte talmente immenso da essere considerato una vera e propria montagna. Uno dei problemi più comuni nell’individuare qual è il monolito più grande del mondo è che lo stesso termine “monolito” viene spesso usato in modo ambiguo. Per esempio, il Monte Augustus, chiamato così in onore del fratello da Francis Thomas Gregory durante il suo epico viaggio di 107 giorni per la regione Gascoyne in Australia, viene considerato il più grande monolito del mondo, ma in realtà è un monoclinale, più precisamente un anticlinale asimmetrico, cioè una porzione di roccia esposta appartenente a un livello sottostante con la piega degli strati rocciosi avente convessità rivolta verso l’alto, quindi non è composta da un singolo pezzo di roccia, anche se la distinzione non è sempre chiara. Un altro problema è che molte rocce e montagne considerate i più grandi monoliti del mondo in realtà non lo sono poiché tali affermazioni sono raramente supportate da conferme geologiche, e i dati su cui si basano prendono in considerazione una sola dimensione, quindi o solo l’altezza oppure solo la circonferenza. Inoltre, l’altitudine può essere misurata in base al livello del mare oppure in base al terreno circostante. I geologi preferiscono di gran lunga utilizzare i termini monadnock, da menadena (“montagna isolata”) dal linguaggio dei nativi americani della tribù degli Abenaki, oppure inselberg (letteralmente in tedesco anche questa volta ”montagna isolata”) che fu originariamente coniato per descrivere queste abbondanti forme montuose osservate in Africa meridionale, per riferirsi a un rilievo o a un monte solitario che domina la zona circostante, ma c’è da puntualizzare che non tutti gli inselberg possono essere considerati monoliti. L’elenco dei monoliti geologici più grandi e affascinanti del mondo è molto ampio e come si potrà notare queste strutture geologiche sono sparse in tutti i cinque continenti con caratteristiche molto diverse le une dalle altre che le rendono uniche.
Senza alcun dubbio una delle icone naturali più riconoscibili al mondo è Uluru o Ayers Rock in Australia. È considerato il monolite più grande del mondo e si trova a 335 km a sud-ovest di Alice Springs, la città più vicina. Circondato dalla superficie completamente piana del bush, Uluru è visibile da decine di chilometri di distanza con un’altezza di 348 metri (è stato calcolato che sotto terra sprofondi per circa 7 km), con una circonferenza di ben 9,4 chilometri ed è caratterizzato da una superficie molto dura e pareti estremamente lisce a strapiombo. Uluṟu è il nome aborigeno originale del luogo e si pensa derivi dalla parola ulerenye, una parola Arrernte che significa “strano”. Il primo non indigeno ad avvistare la formazione fu l’esploratore Ernest Giles, nell’ottobre del 1872 ma fu William Gosse a battezzare la roccia Ayers Rock in onore dell’allora Premier del Sud Australia Sir Henry Ayers. Attualmente, il nome originale aborigeno è quello più utilizzato per indicare la roccia, mentre “Ayers Rock” è utilizzato solo per indicare il relativo aeroporto. Formalmente riconsegnato dal governo australiano agli indigeni del luogo nel 1985, si tratta di un luogo sacro per gli aborigeni, infatti ha un ruolo particolare nella mitologia del dreamtime, “era del sogno” o tjukurpa, cioè un insieme di “miti di formazione” volti a spiegare le caratteristiche geografiche del territorio come “tracce” dei viaggi e delle azioni di esseri ancestrali, vissuti, appunto, nell’epoca del sogno che precede la memoria umana, descritti come giganti in parte umani e in parte simili ad animali o piante. Ciò che rende ancora più suggestivo questo monolito è la gamma di colori che lo caratterizza nei diversi momenti della giornata. La consueta tonalità terracotta gradualmente vira verso il blu/viola al tramonto, per poi riapparire in un rosso fiammante al mattino, con il sole che sorge dietro il monolito. Questi effetti di colore sono dovuti a minerali come i feldspati che riflettono particolarmente la luce rossa. Il massiccio è costituito in larga parte di ferro e il suo colore rosso è dovuto all’ossidazione.
Il segreto meglio custodito della Mauritania, il Ben Amera, si nasconde nel deserto in attesa di essere presa d’assalto dal turismo di massa. Secondo alcune fonti, questo è il secondo monolito più grande del mondo, dopo Uluru. Ben Amera si trova a 5 km da Tmeimichat, un piccolo villaggio situato lungo il tragitto percorso dal treno del deserto che collega Nouadhibou e Zouerate. Un “sasso” di granito di 1.7 km di circonferenza e alto oltre 380 metri, che svetta nel deserto creando un punto di riferimento per nomadi e viaggiatori infatti i “locali” creavano degli incendi controllati che erano visibili nelle oscure notti del deserto del Sahara. Ben Amera è circondato da dune, e l’effetto di contrasto sul paesaggio è mozzafiato.
In Africa un altro monolito molto alto è la Zuma Rock. Si trova a nord della capitale della Nigeria, Abuja, ed è facilmente osservabile percorrendo la strada principale da Abuja a Kaduna ed è a volte indicato come la “Porta a Abuja da Suleja”. Anche se è solamente un terzo larga rispetto al monte Uluru, la Roccia di Zuma è alta il doppio, elevandosi per ben 725 metri sulle aree circostanti. Secondo alcuni osservatori è possibile riconoscere il volto di una persona impresso nella parte bianca al centro della roccia. E’ una pietra ignea intrusiva o plutonica, cioè rocce magmatiche solidificate all’interno della crosta terrestre con un lento processo di raffreddamento, composta da gabbro e granodiorite. Fu un rifugio per la popolazione Gbagyi durante le guerre intertribali contro l’invasione delle tribù vicine. Zuma è raffigurato sulla banconota delle 100 naira, la moneta nigeriana.
In Asia, tra i più grandi monoliti abbiamo il Savandurga, una collina a 60 km a ovest di Bangalore ( Karnataka , India ) nei pressi della strada per Magadi. A 1226 m sul livello del mare, fa parte dell’altopiano Deccan ed è formato da graniti. Savandurga è frequentata da pellegrini che vengono a visitare i due templi alla base della collina: il tempio Lakshmi Narasimhaswamy e il tempio Veerabhadraswamy. E’ tra le mete di trekking più famose della nazione, per i suoi tanti percorsi di varia difficoltà, oltre ad essere frequentato dagli amanti degli sport acquatici per la presenza del lago formatosi alle sue pendici dalla diga Manchanabele Dam. Savandurga è formato da due colline conosciute localmente come Karigudda (collina nera) e Biligudda (bianca collina). La prima testimonianza del nome della collina è in uno manoscritto del 1340 di Veera Ballala III, sovrano dell’Impero Hoysala dove è chiamato Savandi. Un’altra versione è che il nome deriva da Samantadurga, un governatore sotto Ahchutaraya a Magadi, anche se non c’è conferma di ciò. Saavana in sanscrito significa anche “tempo dei tre rituali”. Robert Home nel suo “Select views in Mysore” (1794) lo chiamò Savinadurga o il forte della morte: nella sua descrizione non c’erano gradini per raggiungere la cima della collina ed era coperta da bambù e altri alberi formando una barriera. Urne funerarie megalitiche sono state trovate nella zona.
Ancora in Asia la “Lion rock” (“roccia del leone”), su cui sorge il sito archeologico di Sigiriya, è una vera e propria fortezza naturale che domina il rigoglioso ambiente verde della giungla. È una delle principali attrazioni turistiche dello Sri Lanka, situata nel nord del distretto di Matale vicino alla città di Dambulla nella Provincia Centrale. La roccia di Sigiriya è costituita da un’enorme placca magmatica indurita di un antico vulcano spento ed eroso. È in un luogo sopraelevato rispetto alle pianure circostanti, visibile per chilometri. La roccia si trova su una collina dai pendii scoscesi. L’altezza della collina è di 370 metri ed è a picco su tutti i lati. Ha una forma ellittica ed una sommità piatta che scende lentamente in direzione dell’asse lungo dell’ellisse. Sigiriya, considerata da alcuni l’ottava meraviglia del mondo, è composta da un antico castello eretto da re Kasyapa nel quinto secolo. Il sito archeologico di Sigiriya contiene i resti del palazzo maggiore costruito sulla sommità piatta della collina, una terrazza di medio livello che comprende la “Porta dei Leoni”, da cui prende il nome il monolito, ed un muro con affreschi, il palazzo secondario che si arrampica sui pendii sotto la roccia, ed i fossati, le mura ed i giardini che si estendono per centinaia di metri oltre il bordo della roccia. Il sito fungeva sia da palazzo sia da fortezza. I ruderi rimasti sono sufficienti per permettere ai turisti di restare stupefatti della semplicità ed allo stesso tempo della creatività dei suoi architetti. Il palazzo maggiore situato sulla cima della roccia comprende delle cisterne tagliate nella roccia che contengono ancora acqua. I fossati e le mura che circondano il palazzo inferiore posseggono ancora una bellezza simile a quella originaria. Sigiriya potrebbe essere stata abitata fin dalla preistoria. La sua roccia venne usata come riparo per un monastero dal terzo secolo a.C., con grotte preparate e donate dai seguaci del buddista Sangha. I giardini ed il palazzo vennero eretti da Kashyapa. In seguito alla sua morte ne venne mantenuto l’uso monastico fino al quattordicesimo secolo, dopodiché venne abbandonato. Le sue rovine furono scoperte nel 1907 dall’esploratore britannico John Still. Le inscrizioni Sigiri vennero decifrate dal famoso archeologo Paranavithana che pubblicò un lavoro in due volumi, pubblicato da Oxford, noto come “Sigiri Graffiti”. Scrisse anche il popolare libro “Story of Sigiriya”.
In America del Nord il più famoso monolito è la Torre del Diavolo (Devils Tower), alta 386 metri dal terreno circostante ed è ciò che rimane di un antico vulcano esposto a una lenta erosione. Si trova nelle Black Hills, a Crook County, nel nord-est del Wyoming, ed è stata dichiarata Monumento Nazionale degli Stati Uniti nel 1906 dal presidente Theodore Roosevelt. Deve il suo nome ad una spedizione del 1875, quando il Col. Dodge, interpretando come “Bad God’s Tower” il nome dato dai nativi americani alla montagna, iniziò a chiamarla Torre del Diavolo. La montagna rappresenta sicuramente uno dei paesaggi più caratteristici, tanto che attorno è stato fondato l’omonimo parco nazionale, meta di circa 400.000 visitatori l’anno. La montagna è diventata famosa in tutto il mondo nel 1977, quando fu scelta come sede del punto di incontro tra gli alieni e gli umani dal regista Steven Spielberg per il suo celebre film Incontri ravvicinati del terzo tipo. Una leggenda Lakota racconta che mentre sette bambine raccoglievano dei fiori ai piedi del monte, degli orsi si avvicinarono per divorarle, ma il Grande Spirito le salvò trasportandole in cima al picco. I solchi sui lati del monte sarebbero le incisioni degli artigli degli orsi lasciati mentre questi tentavano di arrampicarsi. Il picco è sacro per i Lakota, i Cheyenne e i Kiowa, che considerano un sacrilegio le scalate compiute da molti turisti. A giugno, periodo in cui si svolgono cerimonie sacre degli indiani locali, è richiesto, anche se non in via ufficiale, che gli scalatori stiano alla larga dal monte.
Ancora in America del Nord si trova El Capitan, uno dei luoghi più famosi dello Yosemite National Park, un monolito granitico che si eleva per quasi 910 metri dalla Yosemite Valley. L’intera montagna in realtà è ben più alta, 2308 metri, ed è una delle attrazioni più ricercate dagli alpinisti di tutto il mondo infatti la sua parete verticale denominata Nose (naso) costituisce una delle più popolari sfide di alpinismo estremo al mondo. Sulla parete di El Capitan salgono più di 70 vie di arrampicata. Il massiccio ricevette questo nome dal Battaglione Mariposa quando esplorò la zona nell’anno 1851. El Capitan fu considerata una traduzione approssimativa in lingua spagnola del nome locale che usavano dare i pellerossa della parete perpendicolare, trascritto come To-to-kon oo-lah o To-tock-ah-noo-lah. Non è chiaro se il nome attuale si riferisca ad un capo tribù specifico o in termini generali. In tempi recenti il nome viene spesso contratto in El cap in particolare dagli scalatori.Nel 1958, Warren J. Harding, Wayne Merry e George Whitmore sono stati i primi a scalare in libera il Nose di El Capitan. La montagna ha ispirato il nome della release 10.11 di Mac OS X che è stata chiamata appunto El Capitan.
Un altro monolito molto famoso negli USA è la Stone Mountain, conosciuta a livello locale come Our Granite Mother, è un monadnock di adamellite di quarzo situata vicino a alla città Stone Mountain, Georgia negli Stati Uniti. Si eleva per 514 metri sul livello del mare ma solo 251 metri dalla superficie circostante. La montagna è anche conosciuta per il suo bassorilievo completato nel 1972, situato sulla facciata nord, il più grande del mondo. Il bassorilievo rappresenta alcuni dei personaggi di spicco degli Stati Confederati d’America: Stonewall Jackson, Robert E. Lee e Jefferson Davis. Stone Mountain, una volta era di proprietà dei fratelli Venable ed è stato il sito della fondazione del secondo Ku Klux Klan nel 1915. E’ stato acquistato dallo Stato della Georgia nel 1958. Alla base la sua circonferenza è di circa 8 km ed è circondata dallo Stone Mountain Park. Numerosi libri di riferimento e la letteratura della Georgia hanno dichiarato Stone Mountain come “il più grande pezzo esposta del granito nel mondo”.
La Peña de Bernal è considerato il terzo monolito più grande al mondo, seguito dal monolite di Gibilterra (Spagna) e dal Pan di Zucchero (Rio de Janeiro). La sua formazione risale al periodo giurassico (65-180 milioni di anni fa). Le dimensioni originali sono state stimate ben tre volte maggiori delle attuali e queste si traducono in un peso stimato intorno a 2 milioni di tonnellate. Si innalza per 433 metri sopra il piccolo paese di Bernal, nello stato di Querétaro (Messico). Numerosi sono stati gli studi per determinare la sua formazione che risulta essere di natura vulcanica (UNAM – Università Nazionale Autonoma del Messico). Il monolite si è originato durante un’eruzione vulcanica, nel momento della formazione della Sierra Madre Orientale ed Occidentale. È composto da Silicio, elemento resistente che ha permesso alla Peña di arrivare dalla sua formazione, quasi 9 milioni di anni fa, fino ad oggi così ben preservata. La parola Bernal deriva dalla lingua basca e significa monolite mentre peña significa roccia. La leggenda narra che l’esercito spagnolo avvicinandosi al monolite la prima volta esclamarono “este es un bernal como los que existen en el mar o en los valles” (“Questo è un monolite come quelli che si trovano in mare o per le valli”). Nel febbraio 2006 è stata indicata come “montagna magica” da parte del Ministero del Turismo del Messico, per i suoi attributi simbolici, leggende e la storia, infatti ogni anno il 21 marzo, durante l’ equinozio di primavera, migliaia di turisti si riuniscono alla roccia e nei suoi dintorni per una festa “mistico-religioso”, per “ricaricarsi energeticamente”. Il tipo di pietra e le possibili offerte per la salita organizzata del Peña de Bernal lo rende una attrattiva a livello nazionale ed internazionale per i professionisti di arrampicata su roccia . Il monolite è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2009.
Pan di Zucchero, in portoghese conosciuta come Pão de Açúcar, è una delle più ricercate attrazioni turistiche di Rio de Janeiro. Situata su una penisola che si estende da un estremo della baia Guanabara all’interno dell’oceano Atlantico, la montagna, costituita da granito e quarziti, sorge a 396 metri sul livello del mare. Altre origini del nome lo fanno derivare dal termine Pau-nh-acuqua che, nel linguaggio tupi-guaraní parlato dagli indigeni tamoios, significa “alta collina”. Proprio sotto al Pan di Zucchero Estácio de Sá fondò il primo nucleo della città di Rio de Janeiro il 1° marzo 1565 (giorno in cui ancora oggi si festeggia la fondazione di Rio de Janeiro. Una funivia porta i visitatori alla cima del Pan di Zucchero, dove è possibile godere da una parte di una spettacolare vista su Copacabana e dall’altro di Botafogo e del Centro di Rio de Janeiro (potrete riconoscere molti edifici, l’aeroporto Santos Dumont, le spiagge, l’Aterro do Flamengo, Niterói, il Ponte Rio-Niterói, la Baia di Guanabara fino alla Serra do Mar e al Dedo de Deus). Ai piedi del Pan di Zucchero si svolgono numerose attività fisiche come il trekking, l’arrampicata e la pesca, senza contare che a Praia Vermelha (davanti all’accesso alla funivia) si possono fare molti sport da spiaggia. La versione della funivia del Pan di Zucchero precedente a quella attuale in funzione dal 1972 fino a pochi anni fa venne progettata e montata dalla storica azienda italiana Agudio.
Il Parco nazionale di Torres del Paine si trova nella regione all’estremo sud della Patagonia, in Cile, ed è uno dei posti più incantevoli al mondo. Il punto più caratteristico del parco è proprio quello delle tre Torres del Paine, tre spettacolari monoliti di granito formati dall’affioramento di un laccolite di roccia ignea, che posteriormente è stato eroso dal ghiaccio, dall’acqua e dai venti. La vetta più alta è quella della Torre Sur, scalata per la prima volta da Armando Aste,ed è di circa 2500 metri. Anche le altre due torri non sono meno imponenti: la Torre Central è di 2460 metri e fu scalata per la prima volta nel 1963 da Chris Bonington e Don Whillans mentre la Torre Norte è alta 2260 metri e fu scalata per la prima volta da Guido Monzino. Sulle tre Torres del Paine salgono numerose vie d’arrampicata aperte a partire dagli anni ’60. Nel parco, la fauna è abbondante e variegata: gli animali più diffusi sono i puma, i guanachi, le volpi grigie, i marà, i nandù e i condor delle Ande. Due mammiferi rari sono il kodkod (un piccolo gatto selvatico) e l’orso dagli occhiali, l’unico orso del Sud America, mentre due specie di uccelli abbastanza diffuse sono il fenicottero del Cile e l’anatra muschiata.
Anche in Antartide esiste un monolito molto famoso chiamato Scullin Monolith, una roccia a forma di mezzaluna difronte al mare. Nel 1930, Douglas Mawson fece un volo aereo dalla nave militare sopra l’area del monolito e messo piede sulla roccia, il 13 febbraio la chiamò in onore di James Scullin , Primo Ministro dell’Australia nel 1929 – 31. La vetta più alta dello sperone fu invece denominata “Monte Klarius Mikkelsen”, per il capitano Klarius Mikkelsen, capitano della baleniera norvegese Catcher Torlyn, che solcava quei mari. Dato che non è coperto di neve o ghiaccio, è un importante luogo di riproduzione per gli uccelli, in particolare procellarie e di pinguini di Adelia, protetti dal Antarctic Treaty System.
In Europa il più grande monolito è la Rocca di Gibilterra (in inglese: Rock of Gibraltar; in spagnolo: Peñón de Gibraltar; in in arabo: جبل طارق che significa “Monte di Tariq”; in latino Mōns Calpē; in greco antico Κάλπη Όρος Kálpē Óros), promontorio situato nel territorio britannico d’oltremare di Gibilterra. È un monolito calcareo di origine giurassica alto 426 metri. E’ di origine calcarea e risale al periodo Giurassico a circa 200 milioni di anni fa, quando la Placca africana si scontrò con la Placca euroasiatica. Il Mediterraneo divenne un mare chiuso, che si prosciugò durante la Crisi di salinità del Messiniano. Si aprì poi lo Stretto di Gibilterra e quindi il Mediterraneo assunse la sua attuale conformazione. La Rocca fa parte della Cordigliera Betica, una catena montuosa nella parte meridionale della Penisola Iberica. Nella Rocca di Gibilterra si trovano circa 100 caverne tra cui la St. Michael’s Cave, una popolare destinazione turistica. Invece, nella Gorham’s Cave sono stati trovati resti dell’Uomo di Neandertal di 30.000 anni fa. Inoltre sono stati trovati resti di animali di cui si erano alimentati, ciò indica che l’Uomo di Neandertal aveva una dieta molto diversificata. Qui è possibile avvistare anche circa 250 bertucce o scimmie di Barberia (Macaca sylvanus), gli unici primati selvatici rimasti in Europa. Ricordiamo inoltre che, nella mitologia greca, in corrispondenza della Rocca di Gibilterra veniva individuata una delle Colonne d’Ercole, che segnavano il confine del Mediterraneo e del mondo conosciuto.
Il secondo monolito più grande d’Europa e il più grande d’Italia è la Pietra Cappa, detta anche Pietra Kappa e si trova nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, superando il Sasso di Remenno che si trova in Lombardia. Si trova in provincia di Reggio Calabria precisamente tra i comuni di Natile Vecchio e di San Luca, nella Locride. Da questi due comuni si può arrivare sia a piedi che con l’auto fino ad un certo punto. Questo monolito è la meta preferita degli escursionisti soprattutto nel periodo estivo. Pietra Cappa ha attirato oltre 5.000 visitatori provenienti da ogni luogo, i quali hanno potuto ammirare le bellezze del paesaggio e la forma del dominante monolite. Essa è stata infatti ripetutamente fotografata e visitata, fino a divenire emblema dell’intero Aspromonte. Pietra Cappa è alta 140 metri e occupa 4 ettari di terreno. Situata sul versante orientale del Parco dell’Aspromonte, nella valle chiamata delle Grandi Pietre proprio per la presenza di numerosi conglomerati rocciosi modellati dalle intemperie fino ad assumere forme particolari, Pietra Cappa ha origini antichissime e appare citata già negli antichi monumenti medievali. Circondato da una fitta vegetazione di eriche, lentisco, mirto, corbezzolo, castagno, lecci, cespugli di menta e di origano, sprigiona una forza e un’energia atavica, con il suo carattere selvatico e solitario ancora non intaccato dalla mano dell’uomo moderno. Gli unici segni di antropizzazione sono i resti bizantini che s’incontrano sul sentiero che conduce al monolite. Da visitare i ruderi della Chiesetta bizantina di San Giorgio, un tempo dotata di pavimento di marmo, di cui rimane qualche suggestiva colonna e qualche muro. A guardia di questa vallata mozzafiato i Giganti di San Giorgio, secolari castagni lasciataci in eredità probabilmente dai monaci basiliani che incorniciano la bellezza naturale, paesaggistica di questo luogo. Il suo nome “Cappa” deriva da “coppa rovesciata”, in riferimento alla cavità interna che la contraddistingue. Le origini di questo grande masso sono davvero antiche: nei documenti medioevali si legge di pietra Gauca ovvero pietra vuota, un toponimo riconducibile non solo a pietra Cappa ma a tutta la zona circostante, caratterizzata da insediamenti rupestri, piccole rocce e grotte che ricordano in qualche modo paesaggi della Cappadocia, storica regione dell’Asia Minore caratterizzata da numerose meteore. Sul monolite aleggiano diverse leggende, legate alla lotta tra il bene e il male. Due sono quelle di origine cristiana: la prima narra che mentre predicavano la buona novella, Cristo e i discepoli giunsero anche ai piedi dell’Aspromonte dove fecero una penitenza raccogliendo alcuni pesanti massi che il Signore trasformò in fumanti pagnotte, lasciando solo Pietro con un piccolo boccone, come punizione per aver raccolto un misero ciottolo. Riconoscendo il proprio errore, fu lo stesso Pietro a volere che quella pietra restasse lì a ricordo della sua malizia e sfiorandola con un dito la fece diventare talmente grande da ricoprire il terreno tutt’intorno. Poi, una volta diventato il custode del cielo, l’apostolo decise di imprigionare per l’eternità nell’enorme macigno la guardia che schiaffeggiò Gesù davanti al Sinedrio, i cui colpi contro la nuda roccia e le grida di dolore vengono sentiti ancora oggi dai pastori e dai passanti. Secondo un’interpretazione del mito Gesù giunse in Calabria, e mentre meditava su pietra San Pietro, venne assalito dal demonio, il quale iniziò una dura persecuzione. Il Signore però non cadde in tentazione e si liberò dal male con il solo segno della Croce; secondo questa leggenda il diavolo, intollerante del divino segno, venne scaraventato violentemente contro pietra Cappa, lasciando così un’impronta resistente al tempo. Tutt’oggi infatti da San Pietro osservando attentamente la vicina pietra Cappa si distingue un’impronta nella roccia, con le somiglianze di un corpo umano, ma dalle dimensioni assai più grandi. Ma Pietra Cappa riveste un ruolo rilevante, addirittura, nel mistero dei Cavalieri Templari. Raccontano le leggende, infatti, che Reggio, oltre ad essere la patria della Decima Legione Fretense che crocifisse Gesù e trafugò i tesori del tempio di Gerusalemme, tra le cui fila militavano Longino, il legionario che trafisse con la lancia il costato di Cristo e il funzionario Lucius Artorius, ossia il vero re Artù, e dei numerosi crociati dai quali ebbero origine i cavalieri di Malta, fu anche il punto di partenza dei monaci che fondarono l’ordine di Sion, i quali ebbero la rivelazione del Graal, la simbolica coppa del sangue di Cristo, proprio a Pietra Cappa. E qui, nelle sue misteriose ramificazioni che arriverebbero sin nelle viscere della terra, si sarebbero stabiliti, e, in seguito, nascosti, i Cavalieri del Tempio, rendendo la ‘Regina dell’Aspromonte’ ancora più enigmatica e affascinante.
Alfonso Morelli – Team Mistery Hunters