Crisi della Psicoanalisi e Ritorno alla Filosofia.

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Secondo uno studio citato dal New York Post la Psicoanalisi negli Stati Uniti è in declino. Dal 2003 ad oggi l’età media dei 3.109 analisti membri dell’American Psychoanalytic Association è salita di quattro anni, arrivando a quota 66 e diminuiscono i giovani interessati alla professione, perché stanno sparendo i pazienti. Se negli anni Cinquanta e Sessanta ogni terapista aveva fra 8 e 10 clienti al giorno, oggi ne ha in media 2,75. Molti non ne hanno nessuno. Secondo lo studio citato dal Post la crisi è frutto di vari fattori e se da una parte la psicanalisi non ha mantenuto la promessa di risolvere i problemi dei pazienti, dall’altra la nostra società, sempre più individualistica e narcisista, è diventata difficile da gestire e le alternative all’analisi (più o meno valide) si sono moltiplicate. La Psicoanalisi, dal greco “psyche” e “analysis”, è letteralmente lo studio dell’anima e della mente. Fu sviluppata da Sigmund Freud (medico neurologo di origine austriaca), alla fine del ‘800, per superare alcuni limiti che riscontrava nel trattamento dei disturbi psicologici (ad es. isteria, nevrosi).  Lo psicoanalista austriaco rivoluzionò il metodo di affrontare i disturbi introducendo quella che allora chiamò: “la Cura delle parole”, grazie alla quale le persone riuscivano a parlare liberamente seguendo il flusso dei propri pensieri, senza censure. Comodamente sdraiati sul divano (il lettino dell’analista), i suoi “pazienti” parlavano per libere associazioni, senza uno schema preordinato, saltando da un pensiero all’altro. In questo modo, secondo Freud, emergono pensieri e sensazioni rimossi dalla coscienza (inconsci), e con essi i traumi e le “verità nascoste” delle persone. Freud ere convinto infatti che i traumi rimossi e i conflitti bloccati dentro la mente fossero all’origine delle patologie. Un concetto fondamentale per la Psicoanalisi, espresso da Freud, è la suddivisione della psiche in tre parti. Semplificando molto il suo concetto potremmo dire che la psiche è composta da:

  • Io: la parte cosciente e consapevole di noi stessi, o meglio la parte con cui identifichiamo noi stessi e che ci fa adeguare alla realtà;
  • Es: la parte “primordiale”, inconscia e non consapevole che è “governata” dagli istinti e dalle pulsioni;
  • Super Io: la parte della mente che – in modo “automatico” – governa i nostri impulsi e li censura, ad esempio facendoci vergognare o sentire in colpa, oppure dicendoci che “questo o quello” non si possono fare perché sono azioni da persone cattive, oppure sono cose maleducate o sconvenienti.

Per arrivare a conoscere l’Es, oltre alla “cura delle parole”, Freud usava l’interpretazione dei sogni, ricchi di simboli e significati: la “via maestra verso l’inconscio”. In questo modo Freud ha elaborato la “Teoria dell’inconscio” e fondato un nuovo metodo terapeutico per trattare i disturbi che, ai tempi, segnò una specie di rivoluzione e fu adottato da molti altri suoi colleghi.

Sigmund Freud

Dopo Freud altri autori si sono dedicati alla Psicoanalisi, sviluppandola e arricchendola, con contributi diversi rispetto al modello originario (come ad es. Carl Gustav Jung con la sua Psicologia analitica) ma sempre di stampo psicoanalitico, tanto che oggi parlare di Psicoanalisi significa parlare di tanti metodi diversi per aiutare le persone. Guidata in un percorso dallo Psicoanalista, la persona diventa in grado di capire autonomamente la sua sofferenza e la causa del suo disagio. Il fatto di arrivare da sola alla consapevolezza dei vissuti rimossi (traumi, emozioni…), e a quella parte inaccessibile della propria mente (Es – Inconscio), fa sì che la persona possa superare il proprio problema, e generare quegli “anticorpi” che le permetteranno di non bloccarsi in futuro in altre problematiche simili.

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In una intervista della giornalista Cristina Bolzani a Umberto Galimberti, noto filosofo e psicoanalista, esce un quadro nuovo sulla psiche umana e sulla crisi della Psicoanalisi. Secondo Galimberti: “La crisi è dovuta alla psicoanalisi stessa, che si è chiusa nelle categorie psicoanalitiche classiche – Freud, Jung, Lacan – che probabilmente in una società radicalmente trasformata non funzionano più. Per esempio quando assumiamo la considerazione freudiana che parte da una base sessuale. Oggi la sessualità è sostanzialmente libera e quindi non è più causa di traumi o cose varie. Seconda ragione, i costi, certo, che non sono insignificanti, e soprattutto i tempi infatti oggi si lavora in una società molto accelerata e uno non può sottoporsi a una psicoterapia che duri 4, 5 o 6 anni.  Inoltre, proprio in riferimento al mondo americano, lì si è diffusa oltre alla psicoanalisi la consulenza filosofica, che è una sorta di trattamento che non investe le emozioni ma investe semplicemente i pensieri che si hanno in testa, che molto spesso sono idee vecchie, arretrate, comunque non idonee al mondo contemporaneo, con una gerarchia costruita sui propri principi, che poi altro non sono che abitudini elementari. E siccome oltre alle passioni si ammalano anche le idee, allora molta gente ci si affida. Ultimamente anche in Italia si sta sviluppando questa consulenza filosofica, che si compone di una ventina di incontri in cui si mette a posto il proprio repertorio mentale. Molta gente allora si sposta dal mondo psicoanalitico al mondo filosofico. Non dimentichiamo che la filosofia è anche una teoria della vita, è nata soprattutto per questo. “

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La filosofia (in greco antico: φιλοσοφία, philosophía, composto di φιλεῖν (phileîn), “amare”, e σοφία (sophía), “sapienza”, ossia “amore per la sapienza”) è un campo di studi che si pone domande e riflette sul mondo e sull’essere umano, indaga sul senso dell’essere e dell’esistenza umana, tenta di definire la natura e analizza le possibilità e i limiti della conoscenza. Prima ancora che indagine speculativa, la filosofia fu una disciplina che assunse anche i caratteri della conduzione del “modo di vita”, ad esempio nell’applicazione concreta dei principi desunti attraverso la riflessione o pensiero. In questa forma, essa sorse nell’antica Grecia. Il bisogno di filosofare, secondo Aristotele – che segue in questo Platone – nascerebbe dalla “meraviglia”, ovvero dal senso di stupore e di inquietudine sperimentata dall’uomo quando, soddisfatte le immediate necessità materiali, comincia ad interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo:

« Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia [thaumazon] riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.»

 

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Ne “La casa di Psiche”, Galimberti descrive appunto la filosofia come una capacità, una saggezza che ci permette di sopportare e dominare il dolore che è costitutivo dell’esistenza, mentre invece la psicoanalisi in qualche modo promette di ‘guarire’ da qualcosa: “La psicoanalisi è intesa come guarigione dei pazienti perchè i pazienti la pensano su modello medico. In realtà la psicoanalisi è una sorta di conoscenza di sé; è chiaro che quando uno si conosce evita di essere sorpreso dal mondo del dolore, perché in qualche modo conosce le macchie e soprattutto ciò a cui è esposto. Però, ripeto, la differenza consiste nel fatto che molta gente si muove nella vita a partire dalle sue pre-cognizioni, dalle abitudini mentali. Sono credenze non controllate, oppure delle suggestioni, o delle emozioni e degli affetti, a cui si rivolgono innanzitutto le grandi autorità. Pensiamo ad esempio al Papa, senza doverne parlar male, il quale espone come condotte etiche delle condotte a cui coloro che credono si adeguano, a prescindere dal fatto che siano praticabili in una trasformazione del mondo molto rapida. Oppure le ideologie di partito o la fascinazione di coloro che parlano in televisione. Per cui noi ci troviamo nella condizione di aderire su basi che Platone avrebbe definito ‘retoriche’ e non invece argomentate. Non è un caso che 14 dei 34 dialoghi di Platone sono contro i rètori e i sofisti che affascinano, creano consenso ma non argomentano.”

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In un’altra intervista di Amedeo Caruso per il Centro Studi di Psicologia e Letteratura, lo stesso Galimberti, che può essere considerato il primo ad aver portato la “Consulenza Filosofica” o “Counseling Filosofico” in Italia, parla del cambiamento degli obiettivi e dei disagi individuali nella società moderna:” Bisogna organizzare altri tipi di scenari che non siano rigorosamente riferiti a quelle due pulsioni della specie che per Freud costituiscono la base dell’inconscio: sessualità per la riproduzione e aggressività per la difesa della prole. Credo che attualmente le forme del disagio siano cambiate. Siamo passati da una società della disciplina, dove il conflitto era tra “permesso-proibito”, a una società dell’efficienza dove il conflitto è tra “ce la faccio-non ce la faccio” a raggiungere gli obiettivi che mediamente mi si pongono, sia a livello personale che a livello di apparati. Allora, in un contesto di questo genere, la stessa depressione ha cambiato forma: non è più organizzata su un complesso di colpa, ma su una sensazione di inadeguatezza. Questo perché la nostra società diviene sempre più americana, perché le nostre prestazioni devono essere sempre al massimo livello, perché tutti gli apparati tecnici alzano ogni anno l’asticella. E in questo contesto lavorare con apparati psicoanalitici che fanno riferimento a sessualità, aggressività e a divieti superegoici, potrebbe non essere più così efficace. Il problema sta nel reperire un significato alla propria esistenza a partire da un riconoscimento della propria identità. E questa identità ci viene data dal riconoscimento degli apparati di appartenenza. Se gli apparati di appartenenza ci negano o non ci riconoscono, anche la nostra identità va in frantumi. Di qui tutte le forme del disagio. Questi sono gli effetti dell’età della tecnica. E l’età della tecnica ha determinato degli scenari che la psicoanalisi non aveva previsto. Quindi noi, in qualche modo, dobbiamo incominciare ad aprire un dialogo tra l’apparato psicoanalitico, che è un apparato molto significativo, e la novità tecnologica. Io ipotizzo addirittura un inconscio tecnologico”.

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Il Counseling Filosofico nasce in Germania nel 1981 per iniziativa del filosofo Gerard Achenbach, il quale ha richiamato il ruolo d’importanza pratica che ha avuto la filosofia nella Grecia Classica. Nasce così, nella metà degli anni Ottanta, tale approccio di relazione d’aiuto ove il counselor non cura il cliente, ma si prende cura di lui. Il counseling filosofico è l’uso della filosofia al servizio dei dilemmi quotidiani. Non più relegata alle biblioteche com’è stato fatto negli ultimi secoli, la filosofia attraverso il counseling filosofico si riappropria della sua identità originaria, ovvero quella di essere al servizio dell’uomo. All’uomo concreto, fatto di ragione ed emozioni, immerso nel mondo reale fatto di lavoro, relazioni e sentimenti.

Il Counseling Filosofico è rivolto a chi è mosso dal desiderio di:

1)risolvere dubbi e perplessità sul significato e il valore della vita.
2)sbloccare i “crampi mentali” o posture logiche di pensiero poco feconde per affrontare in modo funzionale l’ambiente.
3)Fare scelte di vita consapevoli.
4)Portare alla luce la propria implicita visione del mondo.
5)Analizzare la compatibilità tra le proprie credenze e lo stile di vita.

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Petra Von Morstein, consulente filosofico canadese spiega: “Il filosofo professionale non è necessariamente chiamato a rendere migliori le cose o ad aiutare a eliminare i problemi, ma piuttosto a renderli comprensibili nella loro complessità, in modo che l’altro possa vivere con essi, piuttosto che contro o a dispetto di essi”.

Roger Paden, consulente filosofico americano: “L’obiettivo del consulente filosofico non è semplicemente rendere felici e soddisfatti i propri clienti, ma piuttosto chiarire e migliorare le loro idee e visioni del mondo attraverso un processo di riflessione critica. Si assume che tale riflessione possa spesso portare ad una soluzione dei problemi dei clienti, e che da ciò possano scaturire anche soddisfazione e felicità; ma il consulente filosofico si concentra sull’analisi delle visioni del mondo associate ai problemi esistenziali del cliente, non sui problemi stessi. I consulenti filosofici possono approntare servizi unici e di gran valore – l’analisi critica di idee e visioni del mondo problematiche – ma la consulenza filosofica non è psicoterapia o consulenza spirituale”.

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Il Counseling Filosofico s’identifica come una forma d’intervento focalizzata a persone che non presentano patologie psichiche. Alcuni studiosi l’hanno definita una terapia per sani (L. Marinoff). E’ possibile, infatti identificare e delineare, una serie di problemi, propri dell’esistenza normale, e quindi non definibili come patologici, che rappresentano i campi di intervento specifici del Counseling Filosofico: i disagi esistenziali (il senso della vita, la malattia, la morte, l’ amore, la felicità, la tristezza, …); i conflitti che derivano da difficoltà decisionali (riguardanti se stessi, i rapporti di coppia, la famiglia, gli studi, le scelte professionali, il lavoro, …); le questioni riguardanti interrogativi etici e morali (la fedeltà, la libertà, la giustizia, l’aborto, la fecondazione artificiale, l’eutanasia, i trapianti, la donazione di organi, …); le esigenze intellettuali di ricerca e conoscenza, che comprendono l’ eventualità, rara ma possibile, che venga richiesto un supporto filosofico, per il solo piacere di soddisfare un’esigenza intellettuale. Ci sono una serie di condizioni definibili casi di confine, abitualmente trattate dalla psicoterapia, che possono essere considerate un’area di sovrapposizione tra il patologico e il non patologico. Il che vuol anche dire che, per le loro caratteristiche, possono trarre beneficio sia dall’approccio del Counseling Filosofico che da quello psicoterapeutico. Tra i casi di confine possiamo considerare: le condizioni d’angoscia e depressione esistenziale derivanti da una pervasiva sensazione di vuoto interiore con perdita di significato dell’esistenza; le cosiddette crisi esistenziali tipiche delle età di transizione (l’adolescenza, la mezza età , la menopausa e l’andropausa, la terza età, la senescenza, …); le crisi di valori e significati derivanti da questioni specifiche, che comportano sovente una perdita dell’equilibrio emotivo; gli aspetti della personalità che contribuiscono a definire la tipologia personale e che in alcuni casi creano disagi personali (la timidezza, l’irritabilità, il pessimismo, l’insicurezza, …).
Barrientos Rastrojo, Counselor Filosofico spagnolo, nel suo manuale di Counseling Filosofico, distingue tre diversi correnti riguardo al rapporto tra psicoterapie e Counseling Filosofico.
Vi è una prima posizione, di “armonia”, basata su una distinzione tra le due discipline non scevra di aperture collaborative. La separazione tenderebbe a basarsi sulla diade conscio/inconscio definendo il Counseling Filosofico come terapia per sani. Un tipico esempio della posizione è quella di Lou Marinoff e di Ruschmann.
La seconda posizione è definita di “simbiosi”, vale a dire un tentativo di innestare metodi e cognizioni delle psicoterapie nel Counseling Filosofico. Tra i “simbiotici” possiamo citare, l’italiano Ludovico Berra, Tim LeBon e Luis Cencillo.
La terza ed ultima posizione è quella della “separazione e del superamento critico”, in cui l’universo di valori e pratiche delle psicoterapie è sottoposto a critiche e il Counseling Filosofico è posto come qualcosa di diverso. Tra questi citiamo, lo stesso Barrientos Rastrojo, Schuster, Achenbach e Pollastri.

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Per lo psichiatra Sebastian Zimmermann, che ha pubblicato “Fifty Shrinks”, con i ritratti di cinquanta famosi colleghi: «Volevo catturare la vecchia guardia, prima che fosse troppo tardi. Oggi viviamo nell’era del narcisismo. Pensiamo di essere così unici, speciali, di sapere tutto, ci scattiamo i selfie. Questo è un mondo molto diverso da quello con cui aveva a che fare Freud. La gente che oggi va alle classi di yoga, o ai ritiri di meditazione, era quella che un tempo veniva in analisi. Oggi persino lo smartphone è diventato una minaccia che allontana dal lettino infatti con la sua richiesta di attenzione ci distrae dai problemi di cui dovremmo parlare con lo «strizzacervelli». La psicoanalisi starà declinando come scelta di percorso individuale, ma il suo sguardo sul mondo è stata grande fonte di ispirazione per letteratura e il cinema. Per citare un nome, Woody Allen. Senza Freud e l’incombente Super-Io il suo cinema non sarebbe stato lo stesso”.

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Alla domanda su cosa pensa delle pratiche zen, della meditazione e sulle pratiche che insegnano il vuoto e il non-essere, Galimberti risponde: “Queste pratiche sono state addirittura prese in considerazione nel mondo psichiatrico, per esempio nella formula del mindfulness, però il mio problema nei confronti di queste cose è il seguente: abbiamo noi una mente idonea a comprendere i processi mentali in orientale oppure in quanto occidentali non siamo in grado di entrare in quel mondo? La mia risposta è che non siamo in grado. Semplicemente noi ci rivolgiamo all’Oriente senza avere la struttura mentale dell’orientale. E’ tipico dell’Occidente, che va a prendere tutto quello che gli serve senza neanche avere le capacità di entrare in quel mondo. Dopodiché, se a qualcuno fa bene perché glielo si deve vietare? Magari fa bene anche andare a Lourdes. Tutto ciò che serve per riuscire a sopravvivere, ad allentare o ad addolcire la fatica dell’esistenza va benissimo, però non si creda che noi occidentali siamo in grado di entrare nel mondo orientale. E’ una cosa che proprio non ci è consentita se non vivendo là almeno una quarantina d’anni per assorbire i percorsi della mente orientale.”

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Tutto chiaro? Fino a un certo punto. C’è chi non è d’accordo. Più recentemente Peter Sloterdijk in un libro appunto intitolato “Devi cambiare la tua vita” ha dato della filosofia una versione da training ginnico-spirituale. In sostanza il counseling filosofico propone una serie di esercizi, come quelli messi in campo da Ignazio di Loyola che invitavano a cambiare, mutare, rinnovarsi per ritrovare, superati gli ostacoli che incontriamo nella vita, la pace e la certezza di Dio. Il counseling non cerca Dio (o non sempre) ma certamente la pace e la certezza. In questo, a suo giudizio, tradisce ciò che la filosofia è o dovrebbe essere, vale a dire, da Platone in poi, una ricerca inesausta del sapere: sapere il mondo, sapere il soggetto, sapere sé e gli altri.

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Galimberti da una visione giudaico-cristiana alla psicoanalisi:” Io non sono cristiano, sono greco. Tra la grecità e il cristianesimo c’è un abisso. Cioè l’uomo è mortale, punto. Si prende seriamente in mano la morte e si guarda in faccia il dolore con serietà a partire dal concetto di natura. La natura per i greci non era una creatura di Dio, ma era quello sfondo immutabile caratterizzata dalla possibilità della continuazione della sua vita alla sola condizione che muoiano le sue determinazioni. E tra queste determinazioni c’è anche l’uomo. La natura può vivere se tutti nascono, crescono e muoiono. Per cui la vita della natura è antitetica al desiderio umano di sopravvivere. Dopodiché gli uomini, all’interno di questo universo molto limitato che è la loro esistenza, quando il dolore non li prende, possono espandere la vita il più possibile. Ma quando li prende il dolore lo devono reggere. Reggere il dolore vuol dire non mettere in scena tutte quelle scenografie del dolore che sono invece classiche del cristianesimo. E giustamente per il cristianesimo, perché mentre per il greco il dolore è costitutivo della vita, per il cristianesimo il dolore è un’espiazione di una colpa e una caparra per l’eternità. Per questo nasce tutta quell’enfasi intorno al dolore. Basta confrontare la morte di Socrate con la morte di Gesù per confrontare questi due scenari totalmente differenti. A Socrate, quando è in carcere, Fedone dice: “Possiamo andarcene. Qui fuori c’è una barca, io ho parlato con i Trenta Tiranni e va bene anche per loro: così non si uccidono i filosofi e non si fa scandalo nella città”. E Socrate risponde: “Insomma, quello che avevo da dire ve l’ho detto, ho concluso il mio ciclo, non fatemi offendere la Legge che vi ho sempre insegnato a rispettare, datemi la cicuta e non parliamone più”. Fine. Questo è il greco. Gesù invece comincia con l’ultima cena, “Uno di voi mi tradirà”, la flagellazione, la corona di spine, tre volte che cade, la freccia nel costato, “Dio mio perché mi hai abbandonato”. Questa è la scenografia del dolore. Perché? Perché per i cristiani il dolore ha un senso. Allora, se ti metti in una prospettiva greca, dal dolore non puoi guarire. Invece vedo nella psicoanalisi, per quel tanto che presume di guarire il dolore, una traccia della tradizione giudaico-cristiana. Freud per altro era ebreo. Ecco, accuso i cristiani non solo di pretendere di eliminare il dolore, ma addirittura di avere una vita al di là della vita. Quindi il desiderio è infinito perché non ha limite e la morte è semplicemente una sorta di trapasso, di apparenza. Ma la morte è una cosa seria. Finisce l’accadimento umano della tua umanità, dei tuoi affetti, dell’amore per te. E devi accettare questa fine.”

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Oggi anche la consulenza filosofica è diventata di moda ma Galimberti, prendendo spunto dallo sportello filosofico aperto a Parigi da Benasayag, conferma l’importanza della filosofia: ”Lo spunto me lo ha dato Benasayag. Questi è un filosofo argentino che ha aperto a Parigi uno sportello per i giovani che vivevano un disagio psicologico e avevano per questo bisogno di aiuto. La conclusione a cui è giunto Benasayag è stata che questi ragazzi vivono un disagio psicologico perché non hanno un futuro. Il futuro che per noi era un “futuro promessa” per loro è diventato un “futuro incertezza”. Quindi il futuro non retroagisce per motivare i comportamenti attivi e produttivi come ben poteva retroagire per noi sapendo quello che poi avremmo dovuto fare. I ragazzi che andavano allo sportello non è che dicevano: “senta, dottore, scusi ma sono vittima di una crisi storica.” Però è questa la vera ragione. Allora bisognava entrare in questo nuovo scenario ed io l’ho fatto attraverso la configurazione della consulenza filosofica che è molto sviluppata in America, Francia, Germania, Olanda ed Israele ma non in Italia. Da noi la filosofia è sempre rimasta accademica, giocava con cinquecento parole: essere/non essere, principio di non contraddizione e cose di questo genere. Ma la filosofia è nata come pratica filosofica. Cosa faceva Socrate? Insegnava ai giovani che cosa è giusto, cosa è bello, cosa è vero, cosa è santo, come si conduce la retta vita, come si organizza la città. Governo della città e governo di sé. Allora abbiamo organizzato un nuovo scenario e sono nate due società private: la Sicof e la Phronesis. Poi ho pensato che era necessario dargli un ordine istituzionale, allora ho istituito un master a Venezia. Adesso ne sono nati anche a Roma, a Cagliari e a Bari. Il primo a mettere in circolazione la consulenza filosofica è stato Achenbach una trentina d’anni fa in Germania. Però ritengo che se assumiamo come riferimento Achenbach e gli altri che se ne occupano, i presupposti teorici di questo sapere siano molto modesti. Ho pensato che la consulenza filosofica, forse, si radica in scenari molto più potenti che hanno i nomi di Jaspers, Heidegger, Husserl, Merleau-Ponty, Sartre. Cioè tutto questo filone in cui si usano le categorie della filosofia per l’interpretazione del disagio. Allora torniamo indietro e andiamo a vedere che c’è della letteratura più potente di quella che oggi passa come consulenza filosofica e vediamo di agganciare la consulenza filosofica a questo scenario. Quindi, mi sono sintonizzato sulla consulenza filosofica e alla fine cosa è risultato? Che probabilmente si deve adattare una terapia o un’altra a seconda di chi si ha davanti. Non c’è una psiche oggettiva. Ogni psiche è soggettiva, sensibile a certi linguaggi piuttosto che ad altri. Allora in questo contesto un certo eclettismo funziona meglio che la rigidità di una scuola. Il passato, in cui la psicoanalisi fa i suoi affondi per reperire le trame del disagio, è diventato così antiquato, diverso, quasi archeologico rispetto al presente, da non offrire nessuna chiave di lettura per riorientare l’anima nell’indecifrabilità dell’oggi, dove tutte le chiavi di lettura si sono perse nel disordine del mondo. Chi chiede una consulenza filosofica non è “malato”, è solo alla ricerca di un senso. E dove è reperibile un senso, anzi il senso che, sotterraneo e ignorato, percorre la propria vita a nostra insaputa se non in quelle proposte di senso in cui propriamente consiste la filosofia?”.

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Sarà per questo che Socrate diceva di sé: “Non faccio nient’altro che andare in giro a persuadervi, giovani e vecchi, a capire che la vostra prima e maggiore preoccupazione non deve riguardare il vostro corpo o le vostre ricchezze ma la vostra anima, in modo che sia la più eccellente possibile”. Per chi ha simili aspirazioni, che sono poi le aspirazioni che dovrebbe avere ogni uomo che voglia essere all’altezza della sua natura pensante, l’incontro con la consulenza filosofica potrebbe essere l’occasione che lo differenzia, che lo porta all’altezza della sua vita, nell’ottundimento del mondo.

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Alfonso Morelli – Team Mistery Hunters

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