I PERSONAGGI CALABRESI CHE HANNO FATTO LA STORIA (5° Parte)
Nuovo articolo sui personaggi calabresi che hanno fatto la storia. La nostra terra, piena di santi e poeti, filosofi e artisti, politici e luminari, è da sempre crocevia di pensieri e incontri rivoluzionari che hanno cambiato le sorti di tutto l’occidente. Oggi vedere la Calabria sempre agli ultimi posti fa rabbia e forse, prendendo noi coscienza dell’importanza che ha avuto nei secoli, riuscirà un giorno (si spera presto) a ritornare ai fasti che merita. Il cambiamento deve cominciare da noi calabresi, consapevoli di avere nel nostro DNA “i geni di questi geni”.
SAN FRANCESCO DA PAOLA
San Francesco è il patrono della Calabria, dov’è venerato in innumerevoli santuari e chiese fra i quali, in particolare, quelli di Paola , Polistena, Paterno Calabro, Corigliano Calabro, Spezzano della Sila e Lamezia Terme-Sambiase (che custodisce la reliquia di un dito di san Francesco). Attualmente, parte delle sue reliquie si trovano presso il Santuario di San Francesco di Paola, meta di pellegrini devoti, provenienti da tutto il mondo. San Francesco nasce a Paola venerdì 27 marzo 1416 in contrada Terravecchia, nel cuore del centro storico, da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo. Già la sua nascita ha i colori del miracolo. Un incredibile spettacolo si offre all’udito e alla vista dei paolani: arcane melodie e fiamme misteriose si sentono e si vedono nella notte del concepimento sulla modesta casetta (trasformata in chiesa tuttora visitabile) a dimostrazione che il bambino, appena nato, è predestinato dalla Provvidenza ad essere fuoco e luce del mondo. Il nome venne dato al bambino in onore di san Francesco d’Assisi, per l’intercessione del quale i coniugi Martolilla chiesero la grazia di un figlio, pur trovandosi già in età avanzata. Da bambino, Francesco contrasse una forma grave d’infezione ad un occhio, tanto che i genitori si rivolsero nuovamente all’intercessione del santo d’Assisi. Fecero quindi voto che in caso di guarigione il piccolo avrebbe indossato per un anno intero l’abito dell’ordine francescano. La malattia si risolse senza quasi lasciare traccia. A tredici anni il fanciullo indossa “devotionis causa” l’abito di San Francesco d’Assisi nel convento di San Marco Argentano, ove opera i primi prodigi. Dopo un anno compie con i genitori un pellegrinaggio a Roma, Assisi, Loreto, Monteluco e Montecassino. La visita di Roma lo turbò a tal punto che secondo il suo primo anonimo biografo, Francesco redarguì lo sfarzo di un cardinale dicendo : “Nostro Signore non andava così”. L’episodio mostra come nell’animo del giovane andasse ormai maturando l’idea di una riforma della vita ecclesiale basata sulla povertà. Tornato a Paola, il fanciullo decide di lasciare la casa paterna ritirandosi da eremita nella valle dell’Isca, in un angusto e malsano antro (La grotta della penitenza o del deserto) ove, nella totale dedizione al Signore, imponendosi una durissima vita di penitenze, digiuni e preghiere risalenti agli antichi Padri del deserto, dimora per ben cinque anni. Nessuno può e potrà mai dire come egli abbia vissuto in quel periodo. Scoperto il suo rifugio da alcuni cacciatori che inseguono una piccola e timida cerva, l’Eremita incomincia a Paola la sua opera di apostolato costruendo, nel 1435, una cappella con tre piccole celle per i suoi primi seguaci che vedono in lui e nel suo genere di vita (preghiera, carità, umiltà, austerità, penitenza, vita quaresimale e lavoro) la piena valorizzazione dell’uomo. Francesco divenne per Paola un punto di riferimento religioso e sociale, entrando nel cuore della gente che si rivolgeva a lui per sottoporgli problemi di diversa natura. L’Eremita era visto come l’unico baluardo in grado di opporsi ai soprusi della corte aragonese, come la persona capace di mettersi dalla parte della gente povera e semplice di quel lembo del Regno di Napoli e di assumere un ruolo di vero “umanista” nell’interesse di chi non aveva voce. Francesco era un contestatore che richiamava le grandi figure dell’anacoretismo. Lo avvicinavano personaggi potenti e semplici plebei, ed egli non faceva distinzione di ceto: una testimonianza al processo apostolico di Cosenza affermò che Galeazzo di Tarsia, barone di Belmonte, si recò più volte a Paola chiedendo la guarigione, e che Francesco gli fece portare le pietre assieme agli altri operai. Fu il suo un potere taumaturgico a favore di tutti, ma in particolare dei poveri e degli oppressi dalle diffuse malversazioni dei potenti, contro le quali Francesco non si stancò di levare la voce. Gli elementi usati per il miracolo erano davvero semplici, i primi a portata di uomo, quasi a far capire che non erano essi a guarire o a risolvere il problema, bensì la fede in Dio. Molti dei suoi miracoli impressionarono letterati e artisti, che lo identificarono nelle loro opere, come il noto episodio del passaggio dello Stretto di Messina compiuto sul mantello steso sulle onde del mare. La notizia delle sue doti di santità e taumaturgia raggiunse anche la Francia, tramite i mercanti napoletani, arrivando al re Luigi XI il quale, ammalatosi gravemente, lo mandò a chiamare chiedendogli di visitarlo. Francesco era molto restio all’idea di lasciare la sua gente bisognosa tanto da indurre il sovrano francese ad inviare un’ambasceria presso il Papa affinché ordinasse a Francesco di recarsi presso di lui. Il Papa e il re di Napoli colsero l’occasione per rinsaldare i fragili rapporti con l’allora potentissima Francia, intravvedendo, in prospettiva, la possibilità di raggiungere un accordo per abolire la Prammatica Sanzione di Bourges del 1438. Ci vollero alcuni mesi però per convincere Francesco a lasciare la sua terra per attraversare le Alpi, e ad abbandonare il suo stile di vita austero, per passare a vivere in un palazzo reale. Il sacrificio richiestogli di lasciare il Regno di Napoli sarebbe poi stato largamente compensato dal favore della corte francese verso il suo Ordine e dagli interventi della medesima presso la Curia Romana. Fu l’inizio del “capitolo diplomatico” della vita di Francesco. Il 2 febbraio 1483, partendo da Paterno Calabro, Francesco lasciò la Calabria alla volta della Francia. Passò per Napoli dove fu accolto da una grande folla acclamante e dallo stesso re Ferdinando I. A Roma incontrò diverse volte Papa Sisto IV che gli affidò diversi incarichi. Si imbarcò quindi a Civitavecchia per la Francia. Al suo arrivo presso la corte, nel Castello di Plessis-lez-Tours, Luigi XI gli si inginocchiò. Egli non lo guarì dal male ma l’azione di Francesco portò ad un miglioramento dei rapporti tra la Francia e il Papa. Francesco visse in Francia circa venticinque anni e seppe farsi apprezzare dal popolo semplice come dai dotti della Sorbona, desiderosi di riforma personale questi ultimi e in cerca di interventi prodigiosi i primi. Si creò il suo mondo lavorando un appezzamento di terra, presentandosi come riformatore della vita religiosa e con l’aureola di uomo di Dio penitente, eremitico, un nuovo Giovanni Battista. Molti religiosi francescani, benedettini ed eremiti, affascinati dal suo stile di vita, si aggregarono a lui anche in Francia, contribuendo all’universalizzazione del suo ordine. Questo comportò gradualmente il passaggio da un puro eremitismo ad un vero e proprio cenobitismo. Tale svolta porterà alla nascita dell’Ordine dei Minimi e la fondazione di un secondo ordine (per le suore) ed un terzo (per i laici). Le rispettive regole furono approvate da Papa Giulio II il 28 luglio 1506. Il re Carlo VIII, successore di Luigi XI, stimò molto Francesco e contribuì alla fondazione di due monasteri dell’Ordine dei Minimi, uno a Plessis-les-Tours ed uno sul monte Pincio a Roma. Nel 1498, alla morte di Carlo VIII, ascese al trono Luigi XII che, benché Francesco chiedesse di tornare in Italia, non lo concesse. Dopo aver trascorso gli ultimi anni in serena solitudine, morì in Francia a Plessis-les-Tours il 2 aprile 1507. Approssimandosi la sua fine, chiamò a sé i suoi confratelli sul letto di morte, esortandoli alla carità vicendevole e al mantenimento dell’austerità nella regola. Provvide alla nomina del vicario generale ed infine, dopo avere ricevuto i sacramenti, si fece leggere la Passione secondo Giovanni mentre la sua anima spirava. La fama di questo taumaturgo, attraverso i tre rami della famiglia Minima (frati, monache e terziari), si diffuse in Europa, favorendo la sua beatificazione (7 luglio 1513) e la sua canonizzazione (1° maggio 1519) avvenuta a soli dodici anni dalla morte, durante il pontificato di Papa Leone X (al quale predisse l’elezione al soglio pontificio quando questi era ancora bambino), evento molto raro per i suoi tempi.
ZALEUCO DI LOCRI
Nonostante la straordinaria importanza per tutta la cultura occidentale, di Zaleuco sappiamo veramente molto poco. Secondo la leggenda Zaleuco sarebbe nato a Locri Epizefiri e originariamente sarebbe stato uno schiavo impiegato come pastore; Atena gli avrebbe suggerito in sogno alcune ottime leggi e sarebbe quindi stato affrancato e nominato legislatore per volontà di un oracolo di Apollo. Ciò contrasta però con quanto riferito da Diodoro Siculo, secondo il quale Zaleuco proveniva da una buona famiglia ed era ammirato per la sua cultura. Egli fu senza dubbio il primo legislatore del mondo occidentale, ad aver creato un codice scritto di leggi e pene, citato da diversi storici antichi tra cui anche Strabone. Secondo la leggenda Zaleuco divenne legislatore dopo un periodo di disordini ed introdusse un’importante novità, la definizione di pene ben precise per l’infrazione delle varie leggi. Se lo storico Eusebio colloca cronologicamente la nascita di Zaleuco tra il 663 ed il 662 a.C. oggi alcuni studiosi ne mettono in dubbio la reale esistenza. In particolare Bentley e Beloch ritengono che il nome stesso Zaleuco, potrebbe significare “il luminoso”, e sia da riferire ad una divinità, conformemente col fatto che molti popoli antichi attribuirono provenienza divina alle loro leggi e in più il legislatore avrebbe avuto una caratteristica fisica tipica di alcune divinità solari, ossia l’avere un solo occhio (Zaleuco ne aveva perso uno volendo risparmiare una pena al figlio infatti quando quest’ultimo fu colto in adulterio e la legge imponeva che venissero tolti ambo gli occhi, pur di risparmiare uno dei due occhi al figlio se ne fece togliere uno lui). Comunque il primo codice scritto, è certo sia nato a Locri Epizefiri. A parte la discutibile tesi dei due storici, che parte da una semplice analisi etimologica, alquanto discutibile anch’essa, l’importanza di Zaleuco sta non nella sua vita, ma proprio nel codice di leggi scritte, che era conosciuto nel mondo antico anche e soprattutto dai romani. Purtroppo il corpus delle leggi di Zaleuco non si è conservato sino ai nostri giorni, ed oggi ne conosciamo solo alcune grazie al fatto che ci sono state tramandate, attraverso la loro citazione, in opere di autori e storici antichi. Lo stesso Cicerone nel suo “De Legibus” cita esplicitamente Zaleuco come padre del primo codice occidentale di leggi scritte, codice in vigore nella città di Locri Epizefiri. L’importanza di questo codice è davvero notevole in quanto, per la prima volta, le leggi venivano scritte e quindi venivano sottratte all’arbitrario uso che ne facevano i magistrati nei tempi antichi. Questa novità, fortemente democratica, viene sottolineata da Strabone, il quale affermava che “mentre prima si affidava ai giudici il compito di determinare la pena per ciascun delitto, Zaleuco la determinò nelle Leggi stesse”. Quelle locresi venivano considerate leggi moderne e democratiche che in alcuni casi precorrevano i tempi di molti secoli, come nel divieto espresso di possedere schiavi, vigente nella città di Locri Epizefiri. Altre invece erano espressione della civiltà locrese, come la regolamentazione della prostituzione sacra, o l’uso della matrilinearità nella discendenza nobiliare. La legislazione si occupava anche di altre tematiche come quelle inerenti al concetto di diritto di proprietà, interdicendo le cambiali di debito; la terra non poteva essere alienata dai proprietari se non in caso di estrema necessità. Potrebbe sembrare strano il divieto di soggiornare in terre straniere, ma venne ripreso anche nella legislazione spartana. Il codice avrebbe anche contenuto alcune leggi volte al mantenimento del sistema giuridico, per far sì che esso non potesse essere stravolto. A proposito di tale tematica, alcune leggi vennero però tramandate grazie all’opera di altri autori: Demostene afferma che tale codice comprendeva una legge secondo la quale l’abrogazione o modificazione di una legge poteva essere proposta solo dopo essersi presentati dinnanzi all’assemblea con un laccio al collo, che in caso di rifiuto della proposta sarebbe diventato strumento di morte per il proponente. Tale singolare uso è testimoniato anche negli scritti di Polibio, che afferma che, nel caso in cui rispetto all’interpretazione di un decreto magistrato e cittadino presentassero opinioni differenti, dovevano entrambi presentarsi davanti all’assemblea cittadina indossando un laccio che sarebbe poi stato stretto attorno al collo di colui la cui interpretazione si era rivelata errata. Si occupava pure di controversie contrattuali e civili e di questioni etiche, in particolare, vietava la consumazione di vino puro o di depositare le armi prima delle assemblee per “combattere” tutti alla pari. Secondo Zenobio erano molto severe, tanto che la severità di Zaleuco divenne proverbiale al pari di quella di Dracone, ma la natura democratica delle leggi, consentì alla città di Locri Epizefiri di prosperare a lungo.
RINO GAETANO
Rino Gaetano nasce il 29 Ottobre 1950 a Crotone, dove vive gli anni della prima infanzia, fino a quando, nel 1960, i suoi genitori decidono per motivi di lavoro di trasferirsi a Roma nel quartiere popolare di Monte Sacro. Aspirante geometra, allevia gli studi dilettandosi a coltivare i primi interessi per il mondo del teatro. Giovanissimo, insieme a un gruppo di amici crea il quartetto dei Krunx composto da Giuseppe Lazzarotti basso, Nicola Giordano chitarra ritmica, Carlo Tatta batteria e Rino cantava, suonava la chitarra solista e componeva le prime canzoni come l’originale sigla del complesso “up, up, the Krunx”. Il gruppo eseguiva cover dei Beatles e dei Rolling Stones, spesso in un inglese maccheronico. Importantissima fu l’amicizia con Marcello Casco che con la sua grande esperienza e i suoi consigli lo indirizzò. Tra l’altro lo introdusse al Puff, il cabaret di Lando Fiorini. Lì si alternavano Francesco De Gregori che cantava “Roma capitale”, Antonello Venditti che suonava il piano e cantava le sue prime canzoni, e mille altri. Incontra fin da subito le perplessità del mondo musicale per il suo modo ironico e singolare di proporre i suoi pezzi, poco “in linea” con la tendenza seriosa e di stile ideologico di quel periodo, ma viene però notato da alcuni discografici romani suscitando la loro curiosità (Sergio Bardotti e Vincenzo Micocci, quest’ultimo proprietario dell’etichetta discografica It). Dopo varie esperienze di teatro per ragazzi (in una versione musicale di “Pinocchio” interpretava la Volpe), debutta come solista nei primi anni 70 per la It, con un 45 giri nel quale interpreta, sotto lo pseudonimo di “Kammamuri’s”, una canzone intitolata “I love you Marianna”, che serve soprattutto a confermare ancora una volta i dubbi che il mondo discografico in genere aveva nei suo confronti . Soltanto 2 anni dopo si ripropone con il suo primo LP “Ingresso libero” (1974) che viene per lo più ignorato sia dal grande pubblico che dagli addetti ai lavori ma che funge da anticamera ad un periodo di riscontri decisamente più rilevanti, a partire dal vero debutto nel 1975 con il 45 giri “Ma il cielo è sempre più blu”, una sorta di filastrocca sui vizi e le contraddizioni della società di quel tempo interpretata da Rino senza mai rinunciare alla sua naturale dose di sarcasmo mescolata però ad un vero e proprio coraggio civile. Nel 1976, esce il suo secondo LP, frutto di alcuni anni di lavoro intitolato “Mio fratello è figlio unico” con inclusa la famosa “Berta filava”, album apprezzato dalla critica ma accolto con favore solo da una parte di pubblico. Da questo momento in poi, per un periodo che va dal 1976 al 1978, Rino Gaetano si impone sempre più come il cantautore fuori dalle righe, il “grillo parlante” per antonomasia e pubblica una serie di pezzi che hanno la qualità (insolita per certi versi) di divertire ma di far riflettere su temi tanto delicati quanto difficili da affrontare in musica. Con i successivi LP “Aida” (1977) e “Nuntereggaepiù” (1978) in un rapido crescendo, riscuote consensi sempre più consistenti, fino ad ottenere un vero e proprio successo con la canzone “Gianna”al Festival di Sanremo del 1978, dove si esibisce alla grande platea mostrando tutta la sua ironia scanzonata degna di un vero artista di varietà, un esibizione che rimarrà scolpita nelle memorie di molti. La canzone “Gianna” fu in quel momento, la ventata di aria nuova che tutti desideravano ma che nessuno voleva ammettere di avere bisogno, fu l’improvvisa “chiave” che servì a liberare la mente dai tetri condizionamenti ideologici di ogni genere . A quel Festival di Sanremo “Gianna” si piazzò al terzo posto, preceduta da “Un emozione da poco” della Oxa, e da “E dirsi ciao” dei Matia Bazar, ma raggiunse il primo posto nelle classifiche di vendita, dove rimase inchiodata per diverse settimane . Nel 1979 l’album “Resta vile maschio dove vai” (il brano omonimo viene scritto da Mogol) che lancia nel periodo estivo l’indimenticabile ballata “Ahi Maria” segna il passaggio dalla piccola casa discografica It, alla multinazionale RCA e l’inizio di una serie di tournée che lo renderanno popolarissimo in tutta Italia. Entra in crisi artistica nel 1980 dopo aver inciso l’album “E io ci sto”. Cerca però di dare una svolta alla propria attività sperimentando nuove strade e iniziando a collaborare con artisti come Riccardo Cocciante e i New Perigeo con i quali incide un disco. Proprio mentre sta vivendo questa importante fase di transizione, alle prime luci dell’alba del 2 Giugno 1981, perde la vita tornando a casa in un tragico incidente automobilistico sulla via Nomentana a Roma, nei pressi del quartiere Trieste. Già pochi giorni prima della tragedia, assieme all’amico Bruno Franceschelli, Rino venne coinvolto in un altro incidente automobilistico, dal quale uscì miracolosamente illeso; la sua auto, una Volvo 343, venne completamente distrutta e lui ne acquista subito un’altra uguale, di colore grigio metallizzato. Il secondo incidente invece si rivela fatale: la vettura finisce sulla corsia opposta e si schianta contro un camion. Pur prontamente soccorso ma in fin di vita, il cantante viene rifiutato da ben cinque ospedali, una circostanza sorprendentemente simile a quella narrata in uno dei suoi primi testi, “La ballata di Renzo”, eseguita dal cantautore durante le sue prime esibizioni al Folkstudio. Muore per la gravità delle ferite riportate, per giunta a pochi giorni di distanza dalla data fissata per il suo matrimonio con la compagna, Amelia Conte, che aveva conosciuto prima ancora della sua carriera musicale. All’età di trentun’ anni Rino Gaetano esce di scena per un beffardo scherzo del destino. La sua morte prematura, che viene immediatamente paragonata a quella di Fred Buscaglione, ci impedisce di sapere quanto altro ancora avrebbe detto questo “giullare dei giorni nostri” con la sua esuberanza, col suo linguaggio corposo, con il suo modo trascinante. Di lui ci restano le sue, le “nostre”, uniche indimenticabili canzoni . “C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale!” La profezia che fece Rino Gaetano in un concerto sulla spiaggia di Capocotta a Roma nel 1979 si rivelò esatta. A trentasette anni dalla sua morte, il nome di Gaetano, nonostante la sua breve parabola, viene ancora annoverato tra i grandi della musica italiana. Diversi, a questo proposito, sono stati i tributi dedicati attraverso varie forme all’artista di Crotone. Il 19 luglio 2008 la città di Crotone ha intitolato una piazza in suo onore, con tanto di statua in bronzo che lo raffigura in cilindro, frac e ukulele, come si presentò a Sanremo per cantare Gianna. E’ sepolto a Roma, e chi vuole andare a trovarlo, potrà farlo visitando il cimitero monumentale del Verano, entrando dall’ingresso che si affaccia sullo scalo S.Lorenzo, si arriva al riquadro n.119, piano terra, cappella V°.
Alfonso Morelli – team Mistery Hunters
fonti: wikipedia, calabriatours.org, calabriaonline.com, biografieonline.it, figlidicalabria.org.